venerdì 31 luglio 2015
martedì 28 luglio 2015
Chiamare ore pasti.
Odio i gruppi su whatsapp. Perché
diventano immediatamente compulsivi. Perché ognuno dice la sua ma poi
fondamentalmente non si conclude mai niente. Che ne so, crei il gruppo “Regalo
di compleanno della zia Pina” e immancabilmente, al terzo messaggio parte
l’amico idiota che o per pura idiozia –non a caso è l’#amicoiodiota- o per
semplice noia, comincia a postare immagini di tette giganti. E il regalo della
zia si trasforma irrimediabilmente in un foto romanzo pornografico. Ci sono
gruppi ai quali mi rifiuto anche solo di accedere; sono già troppe e ripetute
le convulsioni che provo ogni qualvolta vibra il telefono. Ci sono altri gruppi
invece, nei quali mi limito alla risposta preimpostata “sono fuori”
(fisicamente e mentalmente) e con rapidità felina mi prodigo
all’autoeliminazione dal suddetto, sentendo improvvisamente dentro di me la
stessa pace interiore che proverei davanti alla statua della Madonna di Lourdes
in procinto di farmi un miracolo. Il gruppo è fastidioso perché ti molesta
esattamente quando stai attendendo messaggi di vitale importanza che invece
tardano ad arrivare; lui no: lui con puntualità svizzera fa capolino sulla home
dello smartphone a intervalli regolari come le contrazioni di un parto
podalico. Per poter seguire tutti gli interventi dei vari partecipanti al
gruppo bisogna quanto meno assumere una segretaria part time dedicata che si
smazzi anche il degenero in cui sfociano queste conversazioni e che provi, con
fare certosino, a selezionare i messaggi utili da quelli assolutamente
vani. I gruppi sono infingardi perché se
osi abbandonarli prima del tempo ci sarà sicuramente qualcuno che penserà di te
che sei il solito radical chic arrogante. In taluni di essi devi anche
interagire per non fare l’asociale della situazione; ma in questi casi la
faccina che ride mentre tu stai in realtà sbattendo violentemente la testa
contro lo spigolo della vaschetta del water, ti salverà. Poi c’è il genio che
nel gruppo manda il messaggio vocale, localizzandolo tra le 8 e le 13 e tra le
14 e le 17, in pieno orario di ufficio; così sei costretto a chiuderti in bagno
per poter sentire il suo verbo che mediamente è o una minchiata pazzesca o un
banalissimo “ok” o un rutto bitonale. C’è una cosa da dire, in sintesi. L’uomo
nel corso dei secoli ha sentito l’esigenza di tante cose: fuoco, penicillina,
internet. Ma forse, credo di poter ammettere con una certa sicurezza, che dei
gruppi di whatsapp ne sentisse la mancanza come la sabbia nelle mutande. O, se
preferite, come l’acqua nei polmoni.
venerdì 10 luglio 2015
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