AnnaGiùDalTram

martedì 28 luglio 2015

Chiamare ore pasti.

Odio i gruppi su whatsapp. Perché diventano immediatamente compulsivi. Perché ognuno dice la sua ma poi fondamentalmente non si conclude mai niente. Che ne so, crei il gruppo “Regalo di compleanno della zia Pina” e immancabilmente, al terzo messaggio parte l’amico idiota che o per pura idiozia –non a caso è l’#amicoiodiota- o per semplice noia, comincia a postare immagini di tette giganti. E il regalo della zia si trasforma irrimediabilmente in un foto romanzo pornografico. Ci sono gruppi ai quali mi rifiuto anche solo di accedere; sono già troppe e ripetute le convulsioni che provo ogni qualvolta vibra il telefono. Ci sono altri gruppi invece, nei quali mi limito alla risposta preimpostata “sono fuori” (fisicamente e mentalmente) e con rapidità felina mi prodigo all’autoeliminazione dal suddetto, sentendo improvvisamente dentro di me la stessa pace interiore che proverei davanti alla statua della Madonna di Lourdes in procinto di farmi un miracolo. Il gruppo è fastidioso perché ti molesta esattamente quando stai attendendo messaggi di vitale importanza che invece tardano ad arrivare; lui no: lui con puntualità svizzera fa capolino sulla home dello smartphone a intervalli regolari come le contrazioni di un parto podalico. Per poter seguire tutti gli interventi dei vari partecipanti al gruppo bisogna quanto meno assumere una segretaria part time dedicata che si smazzi anche il degenero in cui sfociano queste conversazioni e che provi, con fare certosino, a selezionare i messaggi utili da quelli assolutamente vani.  I gruppi sono infingardi perché se osi abbandonarli prima del tempo ci sarà sicuramente qualcuno che penserà di te che sei il solito radical chic arrogante. In taluni di essi devi anche interagire per non fare l’asociale della situazione; ma in questi casi la faccina che ride mentre tu stai in realtà sbattendo violentemente la testa contro lo spigolo della vaschetta del water, ti salverà. Poi c’è il genio che nel gruppo manda il messaggio vocale, localizzandolo tra le 8 e le 13 e tra le 14 e le 17, in pieno orario di ufficio; così sei costretto a chiuderti in bagno per poter sentire il suo verbo che mediamente è o una minchiata pazzesca o un banalissimo “ok” o un rutto bitonale. C’è una cosa da dire, in sintesi. L’uomo nel corso dei secoli ha sentito l’esigenza di tante cose: fuoco, penicillina, internet. Ma forse, credo di poter ammettere con una certa sicurezza, che dei gruppi di whatsapp ne sentisse la mancanza come la sabbia nelle mutande. O, se preferite, come l’acqua nei polmoni. 

venerdì 10 luglio 2015