AnnaGiùDalTram

mercoledì 26 febbraio 2014

Il malato immaginato.

Ieri sera ho sbattuto inavvertitamente due dita del piede contro la gamba del letto. Ecco. Non dico altro. Perché prima o poi questa sciagura infausta è capitata a tutti. E sapete cosa intendo se parlo di un dolore atroce che dalla pianta del piede ti attanaglia le gambe poi la pancia con un morso tremendo e ancora su, su fino a rimbombarti nel cervello. Pensate, io che non ho propriamente un linguaggio edulcorato da educanda, non sono neanche riuscita a imprecare. Però ho pianto. Ho pianto e riso insieme. Vi è mai successo che questi episodi vi provochino anche delle risate inconsulte? Tant’è che, giustamente, chi ti sta intorno pensa che tu stia facendo solo cine. Bene. Questo è solo un pretesto per riflettere sul modo che ognuno di noi ha di reagire al dolore fisico presunto o reale. Ci sono tre categorie di persone: gli ipocondriaci, gli affannati e i negligenti. Io faccio parte dell’ultimo gruppo: infatti tutt’ora zoppico come se fossi reduce dal Vietnam. Ma mi crogiolo nel pensiero che tanto prima o poi passerà. Un affannato avrebbe consultato subito qualche forum sul web, poi si sarebbe messo il ghiaccio e la pomata, avrebbe fatto gli impacchi con la malva (avete mai notato che la malva va bene un po’ per tutto? Hai i calli? Applica della malva. Hai la stipsi? Fatti una tisana con la malva) e se proprio non fosse cessato il dolore avrebbe consultato il solito medico di fiducia, col quale ha instaurato un rapporto così intenso che ormai la diagnosi gliela fa per telefono senza neanche ascoltare dove, sta volta, si senta male. L’ipocondriaco no. L’ipocondriaco sarebbe direttamente andato al pronto per farsi una lastra, convintamente sicuro di essersi procurato una frattura. Delle più gravi, per di più, e irreversibili, causa dell’alluce valgo e di numerose altre complicazioni e patologie che la medicina non ha ancora scoperto. Beh. Come vedete, nessuna delle tre categorie è impeccabile. Ma alcune fanno più sorridere di altre. Ho amiche carissime che hanno già provato tutti i tè: verde, nero, tè bianco, tè bancha. Vanno a scovare il negozietto che gli garantisce la purezza maggiore del prodotto e poi confrontano –sempre sui forum di internet- proprietà e benefici. Pure io mi sono fatta convincere dai miracoli curativi di questa tipologia di bevanda e l’ho comprato. Dovevo bollirlo, filtrarlo, metterlo nel thermos, senza zucchero e berne almeno 1 litro al giorno. Al terzo, mi sono rotta e ora il tè miracoloso lo uso al mattino per pucciarci i biscotti. Gli affannati hanno un elenco lunghissimo di cibi che contengono sostanze presumibilmente cancerogene. Se lo sono fatto dettare in spiaggia dalla vicina di ombrellone che vanta un master in tuttologia non indifferente. Hanno l’amuchina nella borsetta e si lavano le mani 27 volte al giorno. Se però tu, negligente, stai male, sono così affannati, ma di cuore, che si occupano di te. Ti consigliano farmaci e rimedi, cure alternative o palliative. E, mediamente, vista la loro esperienza, ci beccano. Così ti evitano un giro inutile dal medico della mutua. Poi ci sono gli ipocondriaci. Se inavvertitamente fai uno sternuto accanto a loro, ti chiedono se hai l’aviaria. Si infilano la mascherina sulla bocca e ti giurano che se dovessero ammalarsi tu sarai considerato il loro untore. Se hai un amico ipocondriaco non azzardarti mai a dirgli una frase tipo: “sei pallido oggi”. No. Comunicargli questa vostra banalissima osservazione potrebbe metterlo in crisi totale. Comincerebbe a sentirsi tutti i sintomi possibili e immaginabili che in breve tempo potrebbero portarlo al Creatore. Ripeto: fatevi gli affari vostri e ascoltate con biblica pazienza i loro lamenti. Gli ipocondriaci sono mediamente sani come dei pesci ma hanno tutte le malattie del mondo. Il loro non sarà mai un semplice raffreddore, no: loro hanno come minimo la sars. L’ipocondriaco non ha mal di pancia: ha un principio di peritonite acuta. Non ha due linee di febbre: ha la malaria. Non ha mal di gola ma forse le tonsille da operare. Conosce tutti i pronto soccorso della zona, avendoli frequentati nelle più svariate ore del giorno e della notte. Ha una laurea honoris causa in patologia ed è testimonial del prontuario farmaceutico nazionale. C’è poi una sottocategoria di ipocondriaco, che è diabolica: l’ipocondriaco fiero e consenziente. Quello che ha voglia di esserlo. Avevo delle colleghe che ad assistere ai loro discorsi sembrava che vivessero in un lebbrosario. Magari attaccava il bottone una che in modo molto angelico comunicava che il figlio aveva un lieve principio di influenza intestinale. Bon. Quello era l’inizio della fine. Dovevi metterti comodo e assistere al duello. Si riunivano come calamitate tutte le colleghe dotate di prole e partiva la sfida a chi aveva dovuto gestire il malanno più grave e complesso. Ne uscivano fuori ritratti di bambini cagionevoli ma bionici, per aver superato tutte le peggio disfunzioni esistenti. E voi, ve lo chiedo saltellando su un piede, che malati siete?

mercoledì 19 febbraio 2014

Diversamente giovani.

Ce li avete presenti quei signori di una certa che si avviano a diventare anziani? Quelli che hanno già passato il fiore dei 30 e la maturità pimpante dei 40; hanno già fatto il giro della boa dei 50 e si apprestano a rinnovare la patente sempre più frequentemente e ad andare dall'urologo almeno una volta ogni sei mesi. Ecco, di quei signori lì voglio parlare io. Quelli che a un certo punto, quando camminano per il paese, stanno leggermente curvi e ciondolano avanti e indietro le braccia lungo il corpo. E’ una cosa imprescindibile: quando hai 25 anni non la fai, ma a 72 sì. E’ un automatismo. Poi, se vanno in bicicletta, di solito usano dei reperti della Prima e stanno con le gambe un po’ larghe, forse per aiutare le giunture delle ginocchia a non partire definitivamente. Ne avrete visti; alcuni pedalano trasportando l’impossibile: scale, latte (non quello munto, sto parlando delle tole), carriole, fascine. Roba da arresto immediato per violazione della 626. Molto spesso hanno pantaloni di velluto o di fustagno un po’ abbondanti e camicie a quadri scozzesi. Sono gli ultimi reperti viventi di ominidi dotati di pensione, presa in fase non ancora del tutto geriatrica. Così, per sfuggire alle grinfie delle mogli, che, mediamente, sono delle rompipalle di dimensioni colossali, si trovano impegni e occupazioni di vario tipo: diventano falegnami, boscaioli, intagliatori, fresatori, elettricisti, coristi, manutentori, volontari, Alpini, pittori, colf addetti alle commissioni, piloti professionisti di passeggini, carrozzine o trattori, indifferentemente, trascinatori di tricicli, autisti e portalettere. Ecco, a tal proposito, apriamo anche una parentesi sul modo di guidare che questi signori hanno assunto col passare del tempo. La vista si è abbassata, i riflessi non sono più pronti come quelli di una volta ma loro guidano come se non ci fosse un domani. Avete mai notato? Non sono ancora caduti nel baratro senza ritorno del nonu che guida in centro strada e tiene la prima per almeno 200 metri, no. Loro sono in un limbo di vitalità, in cui credono di avere l’esperienza giusta per potersi permettere qualsiasi tecnica di guida. Vanno agli 80 nelle strade a curve di montagna ma ai 40 in statale. Azzardano sorpassi con visibilità zero e si immettono negli incroci con la leggiadria di un paso doble. E tu, al lato del passeggero, ti appendi alla maniglia interna snocciolando tutti i rosari che non hai detto in vita tua. Torniamo a noi. Anzi, a loro. Di solito sono una specie mite e mansueta, stile che hanno affinato per evitare ulteriori affettamenti bilama delle consorti di cui sopra. Si muovono sicuri e gioviali per il paese. Ne conoscono la storia, ne hanno visto l’evoluzione, vivendo in modo consapevole sia la Guerra, sia il Boom, sia le Rivoluzioni, sia il Declino totale. Quello che, invece, è stato praticamente donato a noi con pacco a forma di missile, sopraggiunto da dietro. Ma dicevamo. Loro conoscono tutti, salutano tutti e si fermano volentieri per una battuta. Perché sono anche simpatici. L’unico inconveniente è che a volte capita che le funzioni digerenti interne non siano più così efficaci e quindi il loro alito non invita propriamente a un incontro appassionato alla Humphrey Bogart e Ingrid Bergman. Però loro in fondo, in fondo lo sanno. Ed essendo buoni, come detto, vanno sempre in giro con le Monk’s nella tasca delle braje e sovente le offrono. Solo che le caramelle del monaco balsamiche, oltre a donare sollievo contro tosse e mal di gola e a ridare al fiato un aroma più fresca, ti brasano completamente  l’epiglottide e stimolano le ghiandole alla produzione di saliva sufficiente per spegnere l’incendio. Quindi, onde evitare di vivere due minuti di paura, declini l’invito, saluti e auguri buona giornata, scappando a gambe levate. Ognuno di noi ha un nonno o un papà così. Dite la verità. E allora il compitino per oggi è questo, se potete. Avvicinateli. Odorate la loro pelle coriacea che sa di colonia. E dategli un bacino sulla guancia e sulla barba appena fatta ma spessa. Si stupiranno e si commuoveranno. Perché quei signori lì non sono abituati alle smancerie. Ma se le meritano. Ogni tanto, se le meritano.




mercoledì 12 febbraio 2014

Fiato alle trombe.

Avvertenze. Questo post non è adatto a schizofrenici presunti, strombettatori compulsivi, aizzatori di folle con fare tamarro. No. Voi no. Hic et nunc, ci vogliamo prendere una pausa, lontano dal caos, dai clacson e dalla gente agitata. Lo spunto mi viene dalle immagini che sui giornali e sul web descrivevano lo sciopero che il 5 febbraio ha mandato in tilt la metropolitana londinese. 




Guardateli. Sono in fila per due. Ordinati. Mani in tasca. Mi piace perché lì in mezzo ci saranno il manager e la badante, il broker e la colf. Ma nessuno prevarica sugli altri. Se sono lì, hanno un motivo valido per esserci e per aver bisogno di prendere la metro, allo stesso modo di tutti gli altri. Hanno lo sguardo paziente di chi sa che se è stato indetto uno sciopero, non è che si possa far molto se non aspettare. Se Romano Prodi decidesse fantasmagoricamente di ricandidarsi, io gli suggerirei quest’immagine per la sua campagna elettorale. Mi vien quasi da pensare a questo post a bassa voce. Non che voglia tessere le lodi dei londinesi, ci mancherebbe. Vorrei però appendere per le orecchie allo stendibiancheria tutte queste categorie di persone che vado elencando: quelli che non è ancora scattato il verde e già suonano. Quelli che tagliano le file, in posta come ai musei vaticani e quando glielo fai notare o cadono dal pero o si scocciano, pure! I politici che nelle conferenze di partito urlano nel microfono un po’ per fomentare l’applauso, un po’ per dar credito alle nullità che stanno dicendo. Le mamme che per sgridare il bambino che piange a squarciagola in un luogo pubblico, solitamente urlano frasi prese dal metodo teorico della signorina Rottenmeier per dimostrare al mondo la loro autorevolezza. Al termine di ciò, solitamente, il bambino sbraita più forte di prima. Quelli che quando c’è coda in tangenziale passano nella corsia di emergenza. Quelli che mentre tu parli e magari sei pure un po’ contrito nel tuo argomentare, ti interrompono con un consiglio non richiesto che, quasi sempre, prende spunto dalla loro vita che è, quasi sempre, un modello da imitare. Quelli che in sala d’aspetto dal medico raccontano tutta la loro anamnesi famigliare, dalla varicella del nipote di terzo grado, al dettaglio della loro ultima rettoscopia.  Quelli che in attesa ai botteghini dello stadio vedono che di fronte a te ci sono altre seimila persone ma decidono comunque di spingere. Quelli che sui mezzi pubblici ti fissano. Quelli che tengono la suoneria con la Cavalcata delle Valchirie che sfonda il muro del suono. I logorroici; gli inservienti, consulenti e negozianti che trattano male i clienti. Quelli che hanno la macchina ribassata, con la marmitta appositamente sfondata e Gigi D’Alessio a palla. I vecchi che ce l’hanno sempre con i giovani, i giovani che si lamentano dei vecchi. I cani dei vicini. Quelli del piano di sopra, la serranda del negozio di sotto. E infine quelli che dai blog scrivono e pontificano su tutto e su tutti. Ops... 


giovedì 6 febbraio 2014

Post in gelatina, con salsa rosa e foglia di lattuga.

Più passa il tempo e più vorrei scrivere cose che davvero mi garbino. So che è un progetto ambizioso. Insomma, a quasi 30 anni suonati, sei ancora un pivello nel mondo del lavoro. Sei ancora un virgulto…in attesa che la pianta venga abbattuta. Però mi piacerebbe pigiare sui tasti col sorriso ebete stampato in faccia. Se devi raccontare l’ultimo consiglio comunale o descrivere la mostra di decoupage delle signore dell’Unitre (con tutto il rispetto possibile, eh), non è che sia il massimo della libidine. Ti viene l’espressione tipica del pesce blob (non sapete che faccia ha il pesce blob? Cercate su Google. E anche voi direte: pure io, a volte, c’ho la vitalità del pesce blob), e la verve di un vegetariano finito per sbaglio alla sagra del bue grasso. Ho reso l’idea? Ecco, detto questo, tra gli altri ambiti, mi piacerebbe tanto tantissimo fare il critico gastronomico. Ma mica perché abbia delle competenze. Mica perché abbia fatto dei corsi di cucina o sia brava a spadellare. Lo farei solo perché me piace magnà. E bene. Però vorrei farlo in incognito, senza servizi privilegiati e, soprattutto, pagando il conto. Quindi, ragionando, adesso come adesso, è meglio che continui a scrivere sul blog e farmi invitare a pranzo da mamma. Però una cosa la voglio condividere. Un pensiero che mi è andato di traverso, come quando lo spaghetto infila la laringe anziché l’esofago. E sarebbero i cibi che secondo me sono demodè. Non che non siano buoni, per carità. Intendo quei cibi ai quali pensi e non ti viene fame. Perché magari sono anche brutti da vedere. Il cibo demodè non è necessariamente il cibo della tradizione. Per esempio, la acciughe al verde o i peperoni con la bagna cauda, saranno sempre re incontrastati dei miei menu dei sogni (un po’ meno per chi mi sta accanto). No, il cibo demodè, magari è estremamente anni ’90. Ma ce l’hanno propinato talmente tante volte che non se ne può più. Io ho stilato una mia personalissima classifica. Entrano nella top five: il vol au vent, di quelli che compri nei pacchetti, in particolare quelli ai funghi che non sono praticamente mai porcini, ma, in gergo delle mie parti, pisacin. Poi. L’involtino di prosciutto cotto sepolto nella gelatina, pari merito con la barchetta di gamberetti




Terzo posto l’ananas in scatola tagliato col goniometro, quarto il cocktail di gamberi nella conchiglia finta e infine tutte e dico tutte tuttissime in qualsivoglia modo, fattura e composizione, indipendentemente dalla ricetta o dalla bontà di chi le abbia fatte, dico e ribadisco tutte, tutte, tutte le torte salate del mondo. Ahhh, l’ho detto. Basta, non ce la si fa più. Immaginate. Cena di condivisione: cosa porti? Ma io una torta salata, tu? Io faccio una torta rustica. E tu? Pensavo ad una quiche lorraine (che poi è la stessa roba ma essendo infingarda, sta maledetta sfoglia, si dà nomi e appellativi diversi per scamparla!). E diciamocelo: la maggior parte delle volte sono dei pezzi di calcestruzzo, dei rivestimenti in lana di roccia, dei laterizi a pasta porosa che non mandi giù neanche se saltelli per spingerli nello stomaco.



Bon. In pratica ho elencato 1/3 di quello che si trova tutt’ora in gastronomia. In realtà ce ne sarebbe ancora da dire eh, euh se ce ne sarebbe. Però qui, giù dal tram, si fa pure conversazione, no?