AnnaGiùDalTram

martedì 12 giugno 2018

Chi fa la spia non è figlio di Maria.


Ammetto di avere dei reali problemi con lo spionaggio informatico. Lo so, non si fa, non si deve e se lo si fa perchè si deve, perché si tratta di questioni di vita o di morte (tipo sapere come si vestiva nel 2012 la tipa che fino all’altro ieri usciva con quello là che vi piaceva alle medie e che adesso è diventato inchiavabile) almeno non andrebbe detto. Io invece mi dichiaro, tanto prima o poi lo so che nella foga della ricerca certosina mi partirà un like al ragazzo che piace alla mia amica con cui non è più amica su Instagram mentre invece io sì e lo posso spiare perché ho ricevuto un’investitura per questo compito che manco i Cavalieri della Tavola Rotonda. Credo capiate, anche a causa di questa complessità sintattica, quanto sia faticosa l’attività di stalkeraggio. A volte termino alcune sessioni di spionaggio con le occhiaie, i bulbi oculari iniettati di sangue e la bava alla bocca. Lo ammetto, non ci sono lati positivi in tutto ciò. Al massimo vieni a scoprire cose che avresti preferito non sapere. Ho più o meno sempre idea di dove abbiano passato Natale, Capodanno, Ferragosto e San Valentino, le persone che ho schedato e che monitoro con una certa costanza. Anche se credete di essere super riservati, anche se andate con la vostra paperina a fare climbing estremo in Papua Nuova Guinea, dove ci siete soltanto voi due e quattro Huli Wigman della regione degli altopiani del Sud, beh, sappiate che prima o poi qualcuno violerà la vostra privacy e pubblicherà foto di voi che manco sapevate. E a quel punto io, che monitoro, saprò.
A volte mi ritrovo in locali, per strada, in coda al cinema o al supermercato con gente che, ovviamente, ignora totalmente chi io sia ma di cui conosco gusti culinari, mete vacanziere preferite, squadra del cuore, ex fidanzati in ordine alfabetico, miglior compagno di banco delle elementari. Perché l’attività di stalking (che per brevità chiameremo ADS) ti fa entrare nei meandri delle persone che concedono, volenti o nolenti, spazi della loro vita quotidiana alla mercè del web. E’ terribile, lo so. Ma infatti tendenzialmente fare sta roba mi fa schifo. Però son portata. Eh, c’è niente da fare. Per esempio, prima, in pausa pranzo siamo andate a prendere un caffè con altre due colleghe. A un certo punto passa uno che la mia amica aveva visto di sfuggita un mese fa. E’ bastato uno sguardo d’intesa e ci siamo fiondate all’inseguimento del di lui come tre ninja, seguendolo con lo sguardo da dietro gli occhiali da sole per capire in quali anfratti dei Docks Dora andasse a cacciarsi. E niente, stiamo monitorando la planimetria depositata al catasto per vedere l’esatta posizione in cui potrebbe lavorare. Tra un secondo, già lo so, lo beccheremo su Facebook e il gioco sarà fatto. Ecco, quale gioco? Tendenzialmente lo stalking, passatemi il paragone, è come l’onanismo. Non è che poi ci fai robe, è eccitante di per sé. L’altro giorno ho scoperto quand’è il compleanno di una tizia che puntavo da un po'. Io che non credo ai segni zodiacali ho però appurato che una che mi stesse così sulle palle non potesse essere altro che di quel segno lì, che tanto non vi dirò mai perché come Pollyanna sono buona e gentile con tutti. Euh. Comunque. Comunque quando lo faccio mi sento un po' con l’immondizia al posto del cuore, tanto per citare un noto poeta contemporaneo. Ma anche io a volte lascio in pasto ai curiosi qualche traccia di me. Son generosa, è risaputo. Perché al contrario di quelli che so che si fanno i fatti miei pubblico e lascio che guardiate senza troppe restrizioni. Tanto la mia evoluta ADS fa sì che io sappia perfettamente chi di voi guarda come un voyeur dietro le tendine della finestra della cucina, la dirimpettaia, i miei profili. Cicisbei, bubusettete!