sabato 27 dicembre 2014
domenica 21 dicembre 2014
Il mio Noncabolario -parte 1-
Ci sono espressioni che non
sopporto. Mi dà fastidio il “condivido” detto da chi digrignando i denti in
realtà la pensa in modo diametralmente opposto al tuo. E quel “condivido” è
solo un modo elegante per cospargere la supposta col miele.
Mi danno i nervi le
ragazzette che iniziano monologhi dicendo “con il mio ex e bla bla bla”. Hai 18 anni mal contati e la spocchia da cinquantenne radical chic: ascolta me, se
continui di sto passo tra non poco ne avrai così tanti di “ex” che memorizzando
il tuo nome sul cellulare alla voce “ebola”, ti faranno passare la voglia di
tirartela per essere stata piantata.
Non sopporto la parola “condoglianze”
fondamentalmente perché non vuol dire nulla. E’ un escamotage senza sentimento
per riempire un silenzio quando non si sa cosa dire. Ecco, a volte, il silenzio,
sarebbe proprio l’unica cosa da dire.
Mi danno l’orticaria quelli che usano
perifrasi e avverbi per arricchire concetti vuoti: “invero, sebbene, malgrado,
cosicché”. A volte cado anch’io in questa trappola e allora cerco di ripetermi
come un mantra “parla come mangi il pollo, parla come azzanni la pizza, parla
come pucci i biscotti nel tè”. Non sembra, ma poi riesco a farmi capire meglio.
lunedì 15 dicembre 2014
Giù il sipario.
Il dolore dev’essere intimo. Non ha nessun senso lasciarlo
in balìa di sconosciuti e curiosi. Va custodito e vissuto con dignità e
affrontato con chi ha orecchi e cuore per capire. Con chi c’è e con chi rimane,
nonostante tutto. Altrimenti si corre solo il rischio di sembrare “dei patetici
coglioni”.
martedì 9 dicembre 2014
Velociraptor, aiutaci tu!
C’è una categoria di invertebrati
che ultimamente mi sta capitando di frequentare più spesso da quando viaggio in
tangenziale per recarmi al lavoro. Sto parlando di quelle teste di quiz che
quando sulla A55 si sta appiccicati come il 15 di agosto sulla spiaggia di
Borghetto Santo Spirito, loro, i cicisbei, passano con nonchalance nella corsia
d’emergenza. Tranquilli come delle pasque, oltretutto. A me in quei momenti
scatta l’ultras alla Giovanna d’Arco e vorrei virare tutto a destra per pararmi
in mezzo alla loro saccenza. Ma perché la tua specie non è ancora in via d’estinzione?
Sai cosa ti augurerei? Di stare una settimana rinchiuso in una voliera di
piccioni a spartirti il pane duro con quei pennuti. Ma secondo te, se siamo
bloccati come una coscia di pollo nell’esofago, ci sarà un motivo no? Molto
probabilmente qualche sfortunato ha fatto un incidente, oppure c’è qualche
cristiano che sta lavorando. Se non per noi che siamo tutti dei barboni in coda
con te, almeno per questi poveracci, non ce l’hai un po’ di rispetto? Arrogante e snob che non sei altro. Ogni
giorno spero che dall’alto arrivi un elicottero della polizia stradale che ti afferri
con gli artigli come un velociraptor e ti scarichi poco più in giù, a fare
compost all’Italconcimi. Esisterà una
punizione divina per i prepotenti cafoni come te. O no?
martedì 18 novembre 2014
Non finisce qui.
Tornerò. Non so se sia una promessa o una minaccia. Fate voi. Ma al blog penso spesso. Soprattutto quando registro e catalogo storie che vorrei raccontarvi come avevo cominciato e come mi piaceva fare. Un sacco. Niente verrà perso, è solo tutto in standby. Sono assente da circa tre mesi. Perchè ho trovato un lavoro. Sovente anche qui ho scritto dei pipponi niente male quando l'attesa di trovarlo diventava sempre più snervante. Ma ora ce l'ho. Mi sono aggrappata al tram. Non posso dire di aver un biglietto di 1° classe con posto assegnato. Però c'è una cosa: mi piace tantissimo. Mi trovo benissimo. Vorrei tenermelo strettissimo. Temo sia il lavoro della mia vita. Non sono scaramantica e non credo di essermela gufata. La speranza comunque, è di tornare qui, presto, con qualcuna delle mie solite. Con quell'unico obiettivo per cui è nato il blog: ridere incondizionatamente di noi stessi.
domenica 7 settembre 2014
Se io non sono la concorrenza.
Sì. Lo stordito seriale esiste ancora. Quello che crede di padroneggiare ogni ambito della vita sociale di paese. Quello che per farti notare quanto tiene a te ti dice con l'occhio luccicante e un pò sottovoce, che grazie alla sua bomba tu farai il grande salto: "Ho una notizia interessantissima da darti così la scrivi. Dov'è che lavori già?". Ecco, appunto. Sono 12 anni che scrivo nello stesso e medesimo posto. Tutti i santi giovedì dell'anno, escluse festività e vacanze (poche, per altro) e non lo sai?! Per lo meno, visto che in realtà dovrei farti un favore, preparati! Ma il peggiore è lui: "Volevo poi farti fare un articolo: scrivi ancora per Luna Nuova?". Sono sempre 12 anni che ogni anno torni puntuale e pruriginoso come il canone Rai da pagare e ancora non hai capito che quella è la concorrenza? (che, oltre al resto, da che mi risulta, son sempre 12 anni che non ti caga e infatti gli articoli vieni a farteli fare da noi?!). Sarebbe come chiedere a Del Piero "Come ti trovi con la dirigenza Cairo?" e "Riesci a procurarmi due biglietti per la maratona?". Ma, fai tu.
mercoledì 27 agosto 2014
Se l'impiegato pubblico finisse su Tripadvisor, quante stelle prenderebbe?
Voglio istituire il tripadvisor
degli uffici pubblici. Immagino che ognuno di voi abbia la sua esperienzuccia
simpatica da condividere. Io questa mattina vado al centro per l’impiego, pensando che fosse meglio di una telefonata. Col senno di poi…Va beh.
Vado, ore 9.30 circa. Non c’è anima viva. L’impiegata è libera e scazzata mi
dice “prego”, facendomi capire che devo anche muovere le chiappe e sbrigarmi a
sedermi davanti alla sua scrivania. Cominciamo bene. Le spiego con garbo il
motivo per cui sono andata lì, concludendo con un “che cosa devo fare?”. Al che
la (aspettate un momentino, devo trovare un sinonimo di stronza…mmm…niente da
fare, non lo trovo, spiace che debba scrivere una parolaccia ma, davvero, non
trovo le parole). Comunque la “lei” mi fa “Ah io non so proprio cosa dirle”.
Sorrido e dico “bene…”. Vorrei anche suggerirle che tanto per iniziare può
smetterla di mangiarsi i Plasmon mentre le sto parlando, sputandone residui
mollicci e inumiditi sulla tastiera del computer. Ah ecco, il pc. Razza di una
cariatide, che ne dici, per esempio, di controllare sul monitor la mia
situazione lavorativa? Così, te lo do come suggerimento. Lo fa, mandandomi
chiaramente una makumba con lo sguardo. “E ma qui risulta che lei bla bla bla,
quindi niente”. No, un attimo. Niente cosa? Mi chiudo tra me e me un secondo e
faccio filosofia zen. Poi chiedo -sempre garbatamente perché comunque si tratta
di una persona anziana che sta lavorando e dunque le devo il massimo rispetto- “potrebbe
spiegarmi che cosa si deve fare in questi casi”? Mi dice, guardando sopra le
lenti da riposo con la montatura lilla e il cordino in tinta che le balla sulle
guance che ballano pure loro ad ogni suo sussulto: “Io non posso dirle quali
soluzioni prendere”. Beh, credo, se non erro e non voglio addentrarmi nella
deontologia professionale dell’impiegato del centro per l’impiego, ma pare e
scusa se mi permetto di fartelo notare, che in realtà, fornirmi una quadro sommario
dei percorsi che potrei affrontare, rientri tra le tue competenze. Sorrido di
nuovo, ma preferirei infilzarmi la giugulare con le bic che tiene ordinatamente
impilate nel portapenne sulla scrivania, e le dico: “Guardi, io non le sto
chiedendo di fare delle scelte per me, avrei solo bisogno di sapere quali sono
le alternative che ho per risolvere questa impasse, quali procedimenti
burocratici dovrei eventualmente avviare…”. Niente, scuote la testa con falsa
desolazione come se le cose che dovesse dirmi facessero parte della riserbo che
si deve al terzo segreto di Fatima. Così la mia gita a Susa si conclude
mestamente nel giro di tre minuti netti con un nulla di fatto. Nella mia
recensione su questa simpatica vecchina vorrei scrivere che mantenere una
evidentissima svogliatezza nel fare il suo lavoro è piuttosto disdicevole,
soprattutto se operi in un ambito in cui ti trovi a contatto con persone che un
lavoro, invece, non ce l’hanno. Forse avrebbero più diritto loro di essere
scazzati, ne convieni, befana? Ah. E poi magari fai una cosa furba: dimostra
che i centri per l’impiego servono davvero a qualcosa. Ritirati e lascia il
posto a qualcun altro. Così ne impieghiamo uno e mettiamo un segno positivo a
sta desolazione.
venerdì 1 agosto 2014
Panta rei.
Cambia tutto. Cambiano gli orari
dei treni, che se non ti aggiorni, per tre minuti, li perdi. Cambiano le mode,
vanno i pantaloni a vita alta, non vanno più, vanno di nuovo. Cambiano le
stagioni ma quasi mai ad intervalli regolari. Cambiano le architetture, tipo i
lampioni a boule del Palazzo di Giustizia sono inconfondibilmente anni ’90 e
adesso, nessuno li metterebbe più. Cambiano i conduttori televisivi, le veline
e i fidanzati delle veline. Cambiano gli allenatori e le maglie dei calciatori.
Cambiano –ma potrebbero cambiare di più- i politici e i governatori. Cambiano i
capi d’industria, spesso perché devono momentaneamente recarsi in galera. Mio
fratello Luca dice che si può cambiare marito, religione, partito politico,
anche sesso ma che la squadra del cuore –salvo rarissimi casi di
disorientamento mentale- non si cambia mai. Vero. Sottoscrivo. C’è una cosa
però che in modo granitico resta tale e quale a se stessa e non accenna a
subire l’evolversi dei tempi. C’è una e soltanto una cosa che non cambia e non
cambierà mai: la pubblicità della cedrata Tassoni.
lunedì 28 luglio 2014
Le serate Materassi.
Alzi la mano chi non ha mai
dovuto partecipare a una “serata materassi”. Se non avete ancora avuto
l’occasione, lasciate il vostro numero di telefono tra i commenti qui sotto, così
la prossima volta che mi chiamano un sabato pomeriggio di giugno per sapere se
alla sera ho voglia di chiudermi tra le pareti dell’associazione degli amici
delle campane della cappella di San Pancrazio, per assistere all’ennesima
presentazione del materasso miracoloso, faccio un bel trasferimento di
chiamata. Sul vostro cellulare. Perché ragazzi, certe esperienze nella vita, si
condividono. Mi chiedo perché ci siano rogne che capitano sempre agli stessi.
Vi racconto come funziona, per
voi che magari siete ignari. Ci sono aziende che si occupano della
realizzazione di prodotti, i più gettonati e rinomati sono i materassi, i quali
però non hanno un canale di vendita in negozio, bensì si fanno invitare dalle
varie associazioni dei paesi che hanno il compito di riunire un certo numero di coppie;
queste devono ascoltare la presentazione del prodotto e, cosa auspicabile,
comprarlo. In cambio si riceve un bonus in cash che, di sti tempi, fa sempre
gola. Così parte la spasmodica ricerca di coniugi -o surrogati- sacrificali che
abbiano voglia di pupparsi la serata per raggiungere il quorum necessario al fine
di ottenere i soldi promessi dall’azienda. Numero minimo di coppie: 25. Sulla
totalità c’è anche qualcuno che poi compra il prodigioso materasso in schiuma
di lattice estratto da papaveracee di origine protetta o il cuscino che
neutralizza i dolori cervicali o le doghe che alzi e abbassi con il telecomando
come in un valzer in posizione orizzontale. Il problema però, sta proprio nel
trovarle, ste coppie. Ci sono mogli che piuttosto di andare ad una di queste
serate rinunciano agli alimenti; mariti che fanno i turni di pulizia
nell’ufficio del capo pur di non arrivare a casa in tempo e poter evitare la
sciagurata serata. Così capita che arrivati all’appuntamento, di solito nella
sede dell’associazione che ha organizzato il tutto, parta il toto coppie. Ho visto
abbinamenti degni degli esperimenti della Roslin Institute –dove hanno clonato
la Dolly, solo per dire- io sono stata più volte abbinata a ultrasessantenni, a
quindicenni e a donne. Tra omosessualità e illegalità ho pure dovuto fare da
cavia per provare la comodità del materasso. Vi spiego. Per far sì che tutto il
pubblico lo possa ammirare nella sua bellezza, di solito il rappresentante
piazza doghe e materasso su un tavolo. Poi chiede a uno sfigato a caso del
pubblico di fare da tester. A me è ovviamente capitato due volte. “Prego salga,
si stenda, si accomodi, si giri, prima di lato, poi a pancia in giù, poi
supina, poi prona…”. Ou.
Comunque ve lo assicuro, sti
materassi sono meravigliosi. Tutte le coppie presenti arrivano ad un certo punto
apicale della serata in cui farebbero carte false pur di averlo. Poi ti dicono
il prezzo e ritorni a pensare che quei due assi di compensato che hai sotto la
schiena la notte, siano tanto salutari.
Io, che mediamente alla mia vita
non faccio mai mancare esperienze forti, ho fatto anche la serata sui
depuratori d’acqua e sugli antifurti. La cosa interessante di quest’ultima è
che l’Aib che l’aveva organizzata, per circuire il maggior numero di
partecipanti, aveva pensato di aprire la serata con un giro pizza a 5 euro. Il
tentativo di fuga subito dopo essermi riempita la pancia però, non è andato a
buon fine. Fatto sta che ho dovuto assistere a una manfrina dai toni piuttosto
apocalittici. Il rappresentante in questione, prima di proporci il prodotto, ci
ha fatto vedere dei video in cui ladri senza scrupoli si intrufolavano di notte
nelle camere dei bambini, rapinatori in passamontagna aggredivano donne inermi,
furfanti a piede libero svaligiavano la casa dagli affetti più cari, e giù di dati
con cifre allarmanti sui furti in appartamento. Una roba da trauma piscologico
immediato. C’era gente che mentre sto qui parlava chiamava i vicini di casa per
sapere se avevano visto movimenti sospetti; altri, li ho visto benissimo, si
toccavano ripetutamente nei punti nevralgici contro la scalogna. Al termine
della presentazione del miglior antifurto mai concepito, il rappresentante
passava tra le coppie e chiedeva che tipo di casa avessero, se fossero poi così
certi che fosse sicura o che mentre loro stessero lì non ci fosse già una banda
armata che gli stava facendo la festa; se sapessero che non basta vivere in un
appartamento al 62esimo piano, per poter stare tranquilli.
Morale della favola: io
l’antifurto non l’ho comprato, in compenso la pizza che avevo tanto apprezzato
mi è andata di traverso. Sono tornata a casa col fiatone. E ho pensato che solo
con un materasso riempito con fieno aromatico delle valli cuneesi, avrei
dormito sonni tranquilli.
giovedì 10 luglio 2014
Se l'afa è affar mio.
“Piove di nuovo?”, “Ma non è
possibile!”, “Dimmi te se deve piovere d’estate”, “Sembra autunno”, “Ah, non ci
sono più le stagioni di una volta”, “Appena piove, qui, fa disastri”.
Ehi, psssst, psssst. Dico a te che
stai leggendo. Vieni, avvicinati allo schermo del pc, dello smartphone,
dell’ipad o di qualsiasi diavolo di aggeggio tu abbia tra le mani. Devo dirti
un segreto ma sottovoce perché è una di quelle cose che è meglio non divulgare
troppo. Hai mai sentito parlare di surriscaldamento globale? Shhhhhhh! Per
dinci! Che ci scoprono! E’ quel fenomeno per cui la temperatura media terrestre
è aumentata di 1 grado negli ultimi anni, i ghiacciai si sciolgono, gli oceani
evaporano, aumentano le inondazioni e ci sono perturbazioni più anomale e
violente. Lo so, lo so che è una roba da nerd di climatologia. Che il motivo
per cui piove due ore e tira giù le piante e scoperchia i tombini è solo perché
Marte è in congiunzione con Urano o perché al Padre eterno piace che la terra
diventi una piscina dentro cui sguazzarci i piedi d’estate. Lo so. Non troviamo
sempre e per forza dei motivi plausibili alle cose, suvvia. Infatti, come ben
vedete al Tg non ne parlano mai. Tipo, un mesetto fa c’è stata un’inondazione
terribile in un posto sperduto, nella zona cinese, se non ricordo male.
Ebbene, l’annunciatrice al Tg2, aria contrita, ha preso a dire: “sono 50 le vittime di questo
improvviso fenomeno ma c’è una notizia positiva: dopo due giorni i soccorritori
hanno ritrovato un cagnolino rimasto sepolto dalle macerie della casa colpita
in cui viveva”. Sì. Ok. Yuppidu. Sparo un minicicciolo in salotto per celebrare
la morte definitiva del giornalismo, mi rammarico per quei 50 poveretti a cui
sono stati riservati 4 secondi nel servizio totale e poi mi chiedo perché non
si abbia mai voglia di dire la verità.
Ve lo dico io allora perché viene giù
come se non ci fosse un domani.
Perché abbiamo tutti una macchina e spesso la
usiamo per fare due isolati: da casa, alla palestra dove ci mettiamo a fare
fatiche inumane correndo sul tapis-roulant; dal posto di lavoro alla banca, che dista un isolato e che
è uno di quei luoghi pubblici in cui d’estate ci sono 7 gradi e devi entrare
col pile se non vuoi che ti si congeli il mocciolo del naso e d’inverno 42, per
cui da quest’anno all’ingresso degli uffici pubblici sarà possibile trovare
delle comodissime infradito da infilare durante le ore di attesa agli
sportelli.
Piove così tanto perché provare un t-shirt nel camerino di un
negozio equivale a farsi un bagno turco all’hammam, tanto si suda. E poi perché
è pieno di luci, ovunque, sempre accese, sempre a palla.
Piove così tanto
perché il frigorifero è pieno, la tv accesa, il computer connesso. Perennemente.
Piove perché ci piace la sensazione di camminare scalzi a gennaio col
riscaldamento a pavimento che sembra di stare su una spiaggia tropicale. Per
cui vedi gente che in bikini saltella dalla cucina al bagno per non scottarsi i
piedi, tanto tiene alte le temperature.
Poi però a volte capiamo i nostri
errori: non tanto perché il clima è insostenibile ma perché il portafogli
piange. E allora facciamo un investimento, merito anche degli strabilianti
incentivi statali: mettiamo i pannelli solari. Mettere i pannelli solari sul tetto di casa equivale ad espiare tutte le proprie colpe: vuoi investire la tua
vicina di casa che non sopporti? Vuoi rubare le Fiesta alla Coop? Lo puoi fare,
perché tanto tu ormai sei così bravo ad aver messo il pannello solare che tutto
ti è perdonato. Poi lo Stato a me fa riderissimo, perché ti fa la detrazione
per questi interventi ma non ti dice che se ne potrebbero fare tanti e tanti ma
tanti altri, gratis o poco più, e spesso più efficaci. Ma poi, Stato, devi
essere sincero, ce lo devi dire perché fai il figo con sta storia del
fotovoltaico; non sarà mica per ripulirti la coscienza usando il trattato il
Kyoto come una salvietta umidificata di quelle che si usano per il sederino dei bimbi? E per evitare così di pagare troppe multe
per non aver fatto manco l'ombra di quello che ti veniva richiesto?! Stato, lo sai
che noi siamo un po’ tonterelli, ce lo devi spiegare se ci stiamo fottendo
tutte le risorse, se ci stiamo rovinando con le nostre stesse mani, se dobbiamo
correre ai ripari un po’ alla svelta prima che anche qui da noi arrivi un
Katrina che si porti via il Colosseo, la Mole e la Torre di Pisa. Di Venezia
non parliamone neanche, quelli di sti tempi se non sono invasi dall’acqua, sono
sommersi dalla merda. Ma questo è un altro discorso.
Ah giusto per la cronaca, sto
weekend piove di nuovo. Che fate? Pensate di ricominciare la manfrina del “si
stava meglio quando si stava peggio”? O molto più banalmente, spegniamo l’aria
condizionata?! Non sembra, ma fa.
giovedì 3 luglio 2014
Altro giro, altro regalo.
Ah le giostre! Il tir dei fratelli Moglia o chi per essi che
quando arrivava scaricava oltre alla pista degli autoscontri, anche un po’ di
marmocchi che per un breve periodo finivano smistati nelle nostre classi. Molti
di noi hanno avuto un giostraio vicino di banco per almeno un paio di
settimane. Alcuni, vedendo arrivare la carovana, andavano ad aiutare a scaricare
e si guadagnavano manciate di gettoni per tirarsela poi con gli amici. Gli
altri invece, dovevano elemosinare un po’ di spiccioli dai genitori che però,
durante la festa patronale, diventavano miracolosamente più accondiscendenti.
Alle giostre si poteva addirittura andare di sera, il che era una trasgressione
non indifferente. Le ragazze stavano ore davanti allo specchio per prepararsi e
si conciavano come se il tipo che faceva girare gli autoscontri fosse Enzo
Mirigliani. I maschi non si lavavano, come da routine, ma si sparavano litri di
Malizia Uomo sotto le ascelle, mettevano il cappellino con la visiera che era
diventata una specie di tubo di scolo ed erano pronti per la loro serata da
leoni.
Non sono cambiate molte cose dai miei tempi. L’ho appurato
l’altra sera andando alle giostre in piazza della Repubblica alla Chiusa che è
ancora uno di quei posti in cui quando c’è la festa patronale, arriva il
carrozzone.
Le ragazze continuano a considerare quell’evento come un rito
iniziatico per poter trovare marito. Dedicano sempre alcune ore allo specchio
prima di uscire ma la differenza, rispetto al passato, è che lo fanno come se
il tipo che fa girare gli autoscontri sia buonanima di Riccardo Schicchi. Non
so se cogliete la differenza di approccio. I maschi continuano ad avere alcuni
problemi di idrofobia ma in compenso trascorrono lo stesso quantitativo di ore
delle ragazze davanti allo specchio. Il cappellino c’è sempre, girato un po’ di
sbieco ma con la visiera dritta, piatta, che conferisce immediatamente un’aria
garula. Non avete mai notato? E' una roba che pure se se lo mettesse Renato
Dulbecco correrebbe il rischio di una revoca immediata del Premio Nobel. Va beh.
I ragazzi che stanno davanti al pungiball invece, ce li avete
presenti? Di default sono tamarri ma tamarri di paese, quindi un po’ barotti e
non possono far nulla per ovviare a questo stile che emerge prepotentemente.
Hanno spesso i pantaloni mimetici, una t-shirt attillata e il borsello a
tracolla nel quale mettono i soldini che nonna gli ha dato per farsi un giro
alle giostre. Quelli più magrini e sfigatini stanno in disparte e fanno il tifo
per il peso massimo del loro gruppo che crede che basti pesare come una vacca
di Pratobotrile per potersi cimentare in questa disciplina. Mediamente i maschi
che passano le ore davanti al pungiball rimangono tamarri anche superati i 40.
C’è una cosa però che è vertiginosamente cambiata: i prezzi.
Un giro di calci-in-culo, alias giostra a catene, 1.50 €. Vuoi saltare sul tappeto elastico? 5 minuti, 5 €. Se
invece sfidi gli amici sugli autoscontri spendi come minimo 10 euro per fare 4
giri. In compenso il giorno dopo sembri la Pimpa, solo che le macchie sul corpo
sono violacee tendenti al verde. Poi aggiungici 2.50 € per calpestamento di
suolo giostraio e 3 milioni e 3 (come direbbe Razzi) per poter esplicare la funzione
biologica di scambio dei gas fra organismo e ambiente esterno, con assorbimento
dell'ossigeno ed emissione del biossido di carbonio. Ovvero, per respirare. Il
tutto, te lo dice la moglie/figlia/sorella –la differenza tra i tre ruoli è
sottilissima- del capo giostre che con aria scazzata ti comunica quanto fa con
lo stesso tono di voce che si adopererebbe per parlare col vicino di poltrona
al Regio durante la morte di Violetta nella Traviata. Al che tu educatamente,
richiedi, quanto? Visto che a un palmo da te c’è un subwoofer che sfonda il
muro del suono sparando un brano di Toni H. Si ripropone la stessa scena e
arrendendoti le allunghi un dieci euro; lei ti lancia tre gettoni fluo, ma è
inutile rimanere con il mento che poggia sul bancone del camion adibito a cassa,
aspettando del resto. Lei, masticando un Big Babol con la stessa grazia di un ruminante, ha già ripreso a limarsi le
unghie fucsia, in attesa della prossima festa patronale.
venerdì 27 giugno 2014
Apostrofi come stelle.
“Ti prego, ti prego fai un post
sui tatuaggi di merda!”. E’ Simmy che me lo chiede davanti a una pizza kebab, che
tra l’altro è una roba che non smaltisci manco se polverizzi la Citrosodina e
te la sniffi per raggiungere esperienze digestive mai provate prima. Comunque,
il discorso nasce dal fatto che proprio quel giorno ho pubblicato su Facebook
la foto di un conoscente con un tatuaggio con le caratteristiche di cui sopra.
Poi ho deciso di levarla, un po’ perché non tutti hanno il dono di comprendere
la satira e un po’ perché di righe sulla macchina ne ho già parecchie. Però
posso raccontarvela e in segreto mostrarvi la foto incriminata sottolineando il
fatto che quando un’immagine viene pubblicata online senza restrizioni alla
propria privacy eh beh, diventa dominio un po’ di tutti. Se poi si tratta di
materiale che manda in visibilio le papille del mio gusto per l’ironia, non
posso che godere di questi spunti che piovono dal cielo come manna. Torniamo a
lui. Anzi, al centro delle sue spalle, roba che per lo meno si può vedere pubblicamente solo da giugno a
settembre, diamogli questa attenuante. Font “Old English” e il verso del Blasco
che dice “…perché la vita è un brivido che vola via, è tutto un’ equilibrio
sopra la follia…”. Ecco, rileggetela. Ma non soffermatevi sui contenuti.
Osservate l’ortografia, rimettetevi il grembiulino e tornate alle elementari.
Sì, cari miei, l’apostrofo. Ora, io non so di chi sia la colpa se del
committente che ha dato al tatuatore la frase scritta male, se il tatuatore abbia
abbandonato gli studi in terza asilo, se gli sia partito il pennino in un
impeto di quella follia di cui si parla nella canzone. Non lo so. Fatto sta che
sto segnetto, che può essere scambiato per un neo bluastro, che se lo
sbianchetti magari non si nota poi così tanto, che per molti può sembrare
insignificante sarà una firma indelebile sulla pelle di costui che prima di
risentirsi con me, dovrebbe appendere per le orecchie il suo scribacchino al
quale non consiglierei il Cepu, no. L’esilio in Antartide però, sì.
Certo è che una frase così alla mercé
di tutti è davvero impegnativa. Pensate però che c’è gente che ha scelto
consapevolmente di farsi sfottere fino a che il Padreterno non deciderà di
interrompergli questo supplizio. E’ come se uno decidesse di proposito di
presentarsi al proprio matrimonio con i sandali e le calze o come se pubblicasse
la propria foto nella cabina elettorale mentre sulla scheda scrive “Scilipoti è
onesto”. Come minimo gli amici qualche domanda sui suoi disturbi psichici gliela
faranno, eh che diamine.
Per esempio, partiamo dall’Immobile
nazionale che al momento non è rientrato in Italia perché si trova ancora in
fuorigioco a Natal. Tant’è. Poco dopo la nascita della sua primogenita si fa
tatuare il ritratto della bambina sull’avambraccio. Ciro ma come diavolo hai
fatto a non accorgerti che quel tatuatore ti ha gabbato? Non vedi che il
ritratto è il suo e non quello della tua adorabile figliola che suppongo sia un
po’ più bella di come questo graffitaro te l’ha rappresentata?
Poi c’è lui. Che poverino ha
proprio una Babele nel cervello, tant’è che le sinapsi non riescono a
comunicare tra loro e producono sti effetti. I gusti sò gusti, ma pure la mia
gelataia dice che limone e cioccolato insieme fanno schifo. Quindi esistono dei
punti fermi nella vita, dei valori assoluti: farsi tatuare Gigi D’Alessio è
illegale in tutti gli Stati del mondo. Tienine conto.
Infine abbiamo il caso umano. La
ragazza che dopo quella botta fortissima presa cadendo di faccia dallo scivolo
in lamiera del parco giochi, surriscaldato a 97° gradi il 13 di agosto di
qualche anno fa, ha deciso di diventare Sailor Moon. Così si è fatta tatuare il
carro dell’Orsa Maggiore, Minore, Andromeda, Cassiopea e Sagittario. Tutte su
pochi centimetri di lembo facciale. A una coì che vuoi fare? Provare a
prenderla a schiaffi così magari cade qualcuna di quelle stelle e puoi
esprimere per lei il sacro santo desiderio che ogni giorno guardandosi allo
specchio e battendosi il petto si chieda per lo meno il perché.
mercoledì 18 giugno 2014
Quando la ciabatta fa tendenza.
L’altro giorno sono entrata in un
negozio di abbigliamento maschile e ho pensato che per poter mettere quei
vestiti lì al massimo puoi avere 21 anni, devi frequentare la palestra tre
volte alla settimana, depilarti integralmente, guardare “Uomini e Donne” e
avere la tintarella di Carlo Conti. Altrimenti c’è niente da fare, fai ridere.
Partiamo dalle t-shirt. Sono quasi tutte trasparenti o con colori tipo rosa
fluo o verde acqua. La maggior parte con scollo a V che arriva più o meno
all’altezza dell’ombelico. Per cui capite le conditio sine qua non di cui
sopra.
Le giacche. Sapete no, che adesso si usano gli spezzati. Ecco. Le
giacchette che però sono giuste sulle spalle, automaticamente hanno le maniche
che ti arrivano al gomito e non le chiudi. Poi chiedi al commesso: ma com’è sto
fatto? E’ la mia taglia ma non si chiude. E lui con lo sguardo alla Dolce&Gabbana (nel senso che somiglia a entrambi contemporaneamente),
l’occhiale da hipster e l’orologio al polso delle dimensioni di un pendolo a
cucù, ti dice candidamente: “Ma adesso si usano così”. Valà.
I pantaloni hanno
il risvolto e stanno appena sopra la caviglia. Quando andavo a scuola e mia
mamma mi faceva il risvolto ai jeans mi sentivo una disadattata; peggio ancora
quando toglieva il risvolto e mi faceva l’orlo ad acqua in casa: ho vissuto
traumi infantili di prese per i fondelli non indifferenti. E non fate i furbi
perché è successo ad ognuno di voi.
Apriamo il capitolo scarpe e cominciamo
dalle All Star. Intanto ammetto le mie colpe: ne ho cinque paia e non mi
basterebbero mai. Andrei solo in giro così, alla faccia di ballerine e dècolletè senz'altro molto più aggraziate. Vent’anni fa le vendevano al
mercato e te le tiravano dietro perché erano di gomma pura e i piedi lì dentro
prendevano vita emanando lo stesso odore che senti passando in tangenziale nei
pressi della Lipitalia. L’ultimo paio che ho comprato me l’hanno venduto come
se fossero già sporche e con gli strappi di lato, fichissimi. Con la scusa che
fossero limited edition mi hanno ficcato una randellata sui denti che ho dovuto
promettere a San Crispino, patrono dei calzolai, che non ne avrei più comprate
per tre anni per ammortizzare la cifra. O le Superga. C’era un banco che
vendeva le scarpe vicino a quello di “Ebedeigiocattoli”, quando il mercato era
ancora in piazza, che le aveva. Costavano una cosa tipo 10-15 mila lire. E
durante tutto il ciclo delle elementari le ho sempre avute, un po’ bianche, un
po’ blu. Adesso costano come minimo 50 euro ma l’odore che alla sera emanano è
poi sempre lo stesso. E vogliamo parlare delle espadrillas? Noi le mettevamo o
nelle recite della scuola per non rovinare il palchetto del teatrino oppure in
vacanza al mare. In giro con gli amici mai, perché erano un po’ da sfigati. Ora
le vendono color pastello per i ragazzi che vanno a comprare nei negozi di cui vi
parlavo prima. E se vai a fare aperitivo in piazza Vittorio con le espadrillas,
becchi un casino. Ma robe da matti.
Dedichiamo anche un minutino al K-Way. Sì
sì cari cicisbei, quello che diventava un marsupio con le strisce di elastico a
righe che uscivano dalla tasca; ce lo facevano mettere quando andavamo a fare
la castagnata a Madonna della Neve o in gita a Oropa dove sistematicamente
pioveva. Era verde smeraldo o rosso vivo; averlo blu, più discreto, era già una
benedizione per pochi. Adesso è diventato un marchio, c’hanno fatto pure il negozio
in via Roma a Torino e all'aeroporto di Caselle e i prezzi variano tra i 55 ai 170 euro.
Basta ho deciso,
devo riesumare un po’ di roba dall’armadio e far vedere a sti pivelli da dove
nascono le mode: dai pomeriggi uggiosi in cui dovevamo per forza andare in gita
con la parrocchia. Tiè.
E poi sono pronta a scommetterci: tra vent’anni, care
fanciulle, il vostro principe azzurro verrà a prendervi sotto casa in sella a
un Ciao della Piaggio, con le Crocs ai piedi e avrete pure il coraggio di dire
che sarà un bonazzo da paura.
mercoledì 11 giugno 2014
Nell'era di Linkedin.
A proposito del mio rapporto
controverso con la lingua inglese vorrei fare una riflessione su quanto i
mestieri di oggi si siano inglesizzati. Ma alla nausea. Se avete un profilo su
Linkedin e ce lo avete in italiano – come me- sappiatelo: siete degli sfigati.
Prendetemi pure come esempio. Cosa faccio nella vita? Scrivo cose e parlo con
la dizione corretta a pagamento. Benissimo, chiaro. Ma volete mettere il
fascino di scrivere sul proprio curriculum: Anna Olivero journalist and
speaker. Come minimo ti scappa il goccino già solo nel batterlo sulla tastiera
del pc (anzi, se non sei sfigato –come me- del Mac).
Scorro i profili on line ed è un pullulare di HR, che ti viene da dire: hr positivo o negativo? Invece no, tranquilli, un HR è un addetto alle risorse umane. Molto più rilassante come definizione no? Tant’è. Poi vado avanti e trovo CEO, COO, CTO che non centra nulla con l’omonimo ospedale anche se ste diciture ti fanno venire il trauma cranico. Questi tre sostanzialmente sono i capi, i fondatori dell’azienda per la quale lavorano. Sì ma la cosa che mi fa svalvolare è che trovi gente di vent’anni che ha fondato l’associazione degli amici del calcio a 8 e organizza eventi sportivi per rinnegati dal mondo calcistico, che si definisce Ceo and foundator. Amico mio sì, fa figo. Magari fa anche un po’ curriculum perché per lo meno ti sei inventato come occupare il tuo triste e desolato tempo libero causato dalla scelta di aver proseguito gli studi universitari. Ma anche se non te la tiri va bene uguale. Ho beccato un tot di gente che conosco che si è messa a fare il chief. Ho pensato, toh guarda, s’è buttato nel campo culinario. Poi con dispiacere ho dovuto comprendere che significava che era diventato il capetto della sua azienduccia. Prestigioso, certo, ma al contempo banale.
I migliori sono quelli che lavorano nelle agenzie di comunicazione. Li adoro. Magari hanno uno stanzino tre metri per tre dove impaginano volantini per la parrocchia ma si sono fatti la foto dello staff e ognuno ha il suo ruolo, inglesizzato, ovvio. Poi ci sono quelli già un po’ più su di tono, anche bravi, che sognano di avere un sito internet pieno di codici e sigle che manco Google translate, ancor prima di aver pagato i propri dipendenti.
Mi sono imbattuta un giorno nel leggere le mansioni di un tizio che fa il data mining specialist, che in sostanza è un cervellone informatico che analizza flussi di dati. Un nerd senza possibilità di redenzione, insomma. Ebbene, leggete con me in cosa consistono le sue mansioni in azienda: “Disegna le migliori soluzioni nel binomio digital goals e IT development. E' digital architect e coordina i team di backend development. Fa sì che le leve del progress marketing thinking siano presenti in tutti i tools sviluppati per garantirne le migliori prestazioni e redemption”. Nel dubbio: a’ sorreta. Ma vi rendete conto? Sapete che il correttore di Word è talmente impazzito che di queste tre righe mi ha sottolineato parole in rosso a caso, anche corrette in italiano?
Magari sono io che sono troppo purista e che non comprendo che certi linguaggi, importati con l’avvento della tecnologia made in Usa, non si possano italianizzare. Capisco pure che se si lavora per un brand –anzi- per un marchio internazionale, la seconda lingua è fondamentale anche nel definire il proprio ruolo professionale ma diversamente è proprio solo uno sfoggio di cultura, se mi permettete, un po’ spocchioso. Da questo punto di vista adoro gli spagnoli. Laddove gli è stato possibile hanno mantenuto la loro lingua. Il mouse del computer, per dire, si chiama ratòn. Il football loro lo scrivono e lo pronunciano fùtbol, l’hot dog è un perrito caliente, dove perro significa cane; il guard rail è il quita miedo,
cioè il togli paura, il phon è il secador e i jeans (manco la parola jeans
traducono!) sono i vaqueros perché erano i pantaloni usati dai mandriani.
Meravigliosi.
Scorro i profili on line ed è un pullulare di HR, che ti viene da dire: hr positivo o negativo? Invece no, tranquilli, un HR è un addetto alle risorse umane. Molto più rilassante come definizione no? Tant’è. Poi vado avanti e trovo CEO, COO, CTO che non centra nulla con l’omonimo ospedale anche se ste diciture ti fanno venire il trauma cranico. Questi tre sostanzialmente sono i capi, i fondatori dell’azienda per la quale lavorano. Sì ma la cosa che mi fa svalvolare è che trovi gente di vent’anni che ha fondato l’associazione degli amici del calcio a 8 e organizza eventi sportivi per rinnegati dal mondo calcistico, che si definisce Ceo and foundator. Amico mio sì, fa figo. Magari fa anche un po’ curriculum perché per lo meno ti sei inventato come occupare il tuo triste e desolato tempo libero causato dalla scelta di aver proseguito gli studi universitari. Ma anche se non te la tiri va bene uguale. Ho beccato un tot di gente che conosco che si è messa a fare il chief. Ho pensato, toh guarda, s’è buttato nel campo culinario. Poi con dispiacere ho dovuto comprendere che significava che era diventato il capetto della sua azienduccia. Prestigioso, certo, ma al contempo banale.
I migliori sono quelli che lavorano nelle agenzie di comunicazione. Li adoro. Magari hanno uno stanzino tre metri per tre dove impaginano volantini per la parrocchia ma si sono fatti la foto dello staff e ognuno ha il suo ruolo, inglesizzato, ovvio. Poi ci sono quelli già un po’ più su di tono, anche bravi, che sognano di avere un sito internet pieno di codici e sigle che manco Google translate, ancor prima di aver pagato i propri dipendenti.
Mi sono imbattuta un giorno nel leggere le mansioni di un tizio che fa il data mining specialist, che in sostanza è un cervellone informatico che analizza flussi di dati. Un nerd senza possibilità di redenzione, insomma. Ebbene, leggete con me in cosa consistono le sue mansioni in azienda: “Disegna le migliori soluzioni nel binomio digital goals e IT development. E' digital architect e coordina i team di backend development. Fa sì che le leve del progress marketing thinking siano presenti in tutti i tools sviluppati per garantirne le migliori prestazioni e redemption”. Nel dubbio: a’ sorreta. Ma vi rendete conto? Sapete che il correttore di Word è talmente impazzito che di queste tre righe mi ha sottolineato parole in rosso a caso, anche corrette in italiano?
Magari sono io che sono troppo purista e che non comprendo che certi linguaggi, importati con l’avvento della tecnologia made in Usa, non si possano italianizzare. Capisco pure che se si lavora per un brand –anzi- per un marchio internazionale, la seconda lingua è fondamentale anche nel definire il proprio ruolo professionale ma diversamente è proprio solo uno sfoggio di cultura, se mi permettete, un po’ spocchioso. Da questo punto di vista adoro gli spagnoli. Laddove gli è stato possibile hanno mantenuto la loro lingua. Il mouse del computer, per dire, si chiama ratòn. Il football loro lo scrivono e lo pronunciano fùtbol, l’hot dog è un perrito caliente, dove perro significa cane;
giovedì 5 giugno 2014
Peter Fassino.
Bond. James Bond. Fassino. Piero Fassino. Sì
ok, non che il paragone regga tantissimo. Ma James Bond non rideva mai. E manco
Piero. 007 aveva sempre il completo coordinato in giacca e cravatta. Come
credete che si vesta al mattino Fassino per andare a Palazzo di Città a fare
casini col bilancio? Uguale! Mi direte che James Bond però aveva un fascino
altisonante e una schiera di donne che facevano la fila per poter essere le sue
amanti. Vi confido un segreto. Voci di popolo dicono che il sex appeal di Piero
non abbia nulla da invidiare a quello del famoso agente segreto. Anche se sotto
gli occhi ha due borse con dentro la spesa settimanale di una famiglia di 5?
Anche se quando lo vedi da lontano sembra che sia un copri abiti dotato di
mobilità? Anche se ha il naso direttamente proporzionale al suo metro e 92 per
rimanere in equilibrio? Sì, cari miei, pare proprio sia così la faccenda. Bond
nasce in Scozia e Fassino ad Avigliana. Bond raggiunge risultati eccellenti in
ambito sportivo; Fassino milita nelle giovanili della Juventus, mantenendo quello stile tipico della gobba, che sfoggia non appena gli nominano la parola “Filadelfia”, cosa che di solito
lo porta a reazioni convulse e possedute. Si dice che quando Fassino promise i
soldi per il rifacimento dello stadio, scese le scale dei palazzi comunali come
la bambina dell’Esorcista. James Bond parla perfettamente francese, tedesco e
anche inglese. Francese e tedesco non lo so. Ma l’inglese lo parla pure Piero.
Beccatevi questa e poi non ditemi che sparo scemenze a vanvera.
Ora, levatevi quel sorrisino
dalla faccia. Perché io, che ho studiato inglese solo al liceo con la
professoressa -stimabilissima- che purtroppo per lei non aveva avuto il dono
del fonema R, che mi ha fatto uscire dalle orecchie i Daffodils di William
Wordswhort (sì, sì, lo so che state provando a pronunciarlo con la R di cui
sopra, malefici!) e che non è riuscita -per mia negligenza- a farmi appassionare
a questa lingua, davanti a una telecamera non mi ci metterei mai a parlare in
inglese. Neanche con il copione scritto. Piero invece, del quale non condivido
mai tuttissime le scelte che fa, si è però messo in gioco. Dice che Torino è “a
rial factori taun” come lo direbbe Pino Milenr, di Telecupole. Però si sbatte e
ci mette la faccia. Parpigna un po’ con gli occhi per farsi forza e giù di british english
in piemontesis way. Adesso Piero, devi
fare un video mentre ti accendi una Lucky Strike e con aria affascinante ci
dici che imparare l’inglese non è mai troppo tardi anche se la nostra sola
lingua di riferimento fosse il patois.
giovedì 29 maggio 2014
Scheda burla.
Questa volta è colpa di Daniela e
Samanta, due mie amiche che sapendomi ai seggi mi hanno chiesto se non fossi
riuscita a trovare qualche spunto. La risposta è stata: “Euh se ne ho
trovati!”. Però raccontarvi tutto significherebbe costringervi davanti allo
schermo per lo stesso numero di ore che ci abbiamo impiegato noi a spogliare
tutte quelle schede moltiplicate per tre. E non è il caso. Ce ne sarebbe da
dire sulla tipologia di elettori, così come sui rappresentanti di lista e sui
candidati. Ma limitiamoci ad analizzare insieme alcune delle schede nulle che
sono state aperte nel mio seggio di Almese. Ecco la classifica: al decimo posto
si piazza un certo elettore che su tutte e tre le schede elettorali ha scritto
ripetutamente e a grandi lettere “Mongrano”. Ho anche cercato su Wikipedia se
sto Mongrano fosse un candidato delle passate legislature o se fosse una
località turistica che il caro cittadino suggeriva a noi scrutatori con l’aria
sconvolta che abbiamo coerentemente mantenuto dalle 7 del mattino di domenica
alle 3 di martedì notte. Ma non ho trovato risposte. Ho deciso che Mongrano sia
un amore di gioventù del cittadino in questione, che appena si trova con una
penna in mano e un’occasione proibita, lo rievoca con passione. Al nono posto
abbiamo l’elettore (in realtà sarebbe una femmina, ma per eleganza e per
giuramento di segretezza facciamo finta che sia un uomo) che accanto al simbolo
da lui prescelto ha fatto che firmarsi, così, come se fosse una cambiale. Ma è colpa della burocrazia se questo povero
signore quasi novantenne si è confuso; con tutte le carte che avrà già dovuto
firmare in vita sua, firma più, firma meno avrà fatto che siglare anche sti
papiri. Ottavo posto al commento “Andate a lavorare deficienti”, che per altro
spero fosse riferito ai politici di questa tornata perché io quei tre giorni ai
seggi me li ero proprio scelti come lavoro momentaneo, indi per cui dovrei
spiegare a questo mio compaesano che ha preso un abbaglio. Però nota di
merito per aver scritto “deficienti” in modo corretto; ho controllato, giuro. Quasi
pari al precedente il “vergogna” inciso sulla scheda impugnando la matita come
un punteruolo di quelli che ci facevano usare le suore all’asilo per ripassare
i contorni delle figure. Diciamo che con
uno così accanito non avrei voluto condividere la cabina elettorale; per
fortuna che il voto è segreto e personale. Sesto posto per il revival,
l’amarcord, il ritorno, la vendetta, chiamatelo come volete: colui che si
prende la briga di scrivere il nome del duce. Un bel Benito Mussolini con tanto
di cura nell’esecuzione della B e della M. Un esercizio di bella calligrafia,
come proponeva Alberto Manzi quando insegnava l’italiano alla tv ma il cui
contenuto lascia un solo commento unanime e sconsolato: “Eh va beh”. Al quinto
posto abbiamo invece un elettore simpatico che ci ha disegnato degli smile
grandi come quelle lenzuola sulle quali immagino abbiate votato anche voi. Beh,
ci ha donato un sorriso che verso le 2 della notte di domenica ci ha confortato.
Saliamo di categoria e abbiamo l’elettore che di fianco al simbolo di “Forza
Italia Berlusconi” ha dato la preferenza a Renzi. Che dici: o sto qui non ha
capito un tubo oppure ha tentato in modo sottile di fare il veggente. Al quarto
posto c’erano le schede in cui l’elettore ha dimostrato che per il governo
dell’Europa e della Regione desiderava essere rappresentato non da un candidato
qualunque ma addirittura dall’Uomo Ragno. Tra politici che si attaccano alla
poltrona come zecche, grilli e mosche, avremmo così completato quasi tutto
l’insettario. Secondo posto, “Gesù salva”. Il che considerando il curriculum e
il modus vivendi di quelli che si definiscono attuali salvatori della patria,
preferisco effettivamente mettermi il cuore in pace e attendere il ritorno del
Messia. Al primo posto vince la classifica delle elezioni 2014 la fanciulla
(beh, noi abbiamo voluto credere che fosse tale e non un energumeno di 1.90 per
80 kg con la barba e i peli sulle gambe) che ha scritto “Marco Alliano sei un figo”,
col cuore e sulla scheda delle regionali. Ora, per chi non lo sapesse, Marco
Alliano è il macellaio di Rivera e sicuramente una dedica così non l’aveva
ricevuta mai. L’ultimo chapeau fuori classifica ma questa volta senza alcuna
ironia, va alla votante –suppongo- più anziana di tutta Almese; la signora che
alla bellezza di 100 anni e mezzo suonati si è presentata al seggio con la sua
scheda elettorale. Ditemi voi se non è questo un esempio straordinario di
civismo di una donna che nella sua vita ha visto evoluzioni e implosioni
pindariche della sua patria. Ditemi voi se questo non è amore per il nostro
Paese. Permettetemi di dire, un amore, nonostante tutto.
martedì 20 maggio 2014
18 maggio 1984
I miei 30 anni sono cominciati
con mia madre che mi avvertiva prontamente che mi avrebbe organizzato la festa
a sorpresa alla quale avrei dovuto partecipare fingendo un certo stupore. I
miei 30 anni sono cominciati scartando il 70% degli annunci di lavoro per
superati limiti d’età dettati dal fantomatico contratto di apprendistato. E se
già prima non è che ne trovassi facilmente, figuratevi ora. I miei 30 anni sono
cominciati con un ciclo di terapie per aggiustare quel dito che sbattei contro
la gamba del letto (ve lo ricordate?): a 20 si sarebbe messo a posto da solo. I
miei 30 anni sono cominciati in un bunker antiaereo sotto le Nuove di Torino: a
mezzanotte ero a meno 18 metri con l’umidità che mi entrava nelle ossa; poi
però da quelle carceri sono uscita. Quindi, forse, potremmo anche interpretarla
come bene augurante metafora della vita. I miei 30 anni sono cominciati con
Spritz e Mojito ma non abbastanza. I miei 30 anni sono cominciati andando
dalla parrucchiera sperando di tirarmi al lucido per la festa con il solo
risultato di aver rimediato una acconciatura da cavia tibetana. I miei 30 anni
sono cominciati di domenica e io odio le domeniche. Ho tentato però, di dare
inizio ai miei 30 anni con le persone che penso mi vogliano bene. Non tutte
c’erano ma, adesso che ho solo 30 anni, non è ancora il momento di trarre
conclusioni. Ho cominciato i miei 30 anni credendo di essermi fumata i precedenti
dieci. Ma credo che anche a 40, penserò la stessa cosa. I miei 30 anni sono
cominciati senza alcun progetto, poche speranze e molto smarrimento. Ma forse
in questa barca, non sono da sola.
mercoledì 14 maggio 2014
Di obesità, virtù.
Perchè lo fai, disperata ragazza
mia? Perché fai di tutto per sembrare un cetaceo spiaggiato? Perché? Te lo
giuro, ho fatto pure un sondaggio, sperando di sviare l’attenzione del genere
umano da quei due sacchi da thai boxe che c’hai al posto delle gambe. Ma
niente: tutti quanti si chiedono il perché. E allora sai cosa facciamo adesso?
Ti trovi un posticino comodo, ti siedi e apri ben bene le orecchie, perché te lo
dico solo più una volta: se pesi 98 kg, i leggings non li puoi mettere. Mai. Per
sempre. In nessuna circostanza. Neanche da sola, se no ti riprende il vizio. E non tirare fuori la scusa che il nero sfina,
perché pure il Titanic era nero ma era comunque largo 28 e lungo 269 metri. Ed
enorme, fidati. Ora, se non vuoi affondare anche tu nell’abisso dell’ignominia
sentimi bene. Sei cicciottella? Per costituzione (dicesi sfiga, comunque) o per
scelta? Perfetto. Non c’è nulla di male, ma nulla per davvero se ti piaci così.
Perché se non ti piaci e ti ostini a vestirti come si vestono quelle magre e
beh, cara mia, allora c’hai il cervello di una cocorita in prognosi riservata. Se
il tuo giro coscia ha il diametro di una sequoia non te li puoi mettere i
pantaloni stretti ma manco la minigonna! Semplicemente perché rischi di farti
una figuraccia. Perché invece non ti metti quei bei pantaloni leggeri e ampi o
quelle gonne lunghe che per lo meno ti danno una dimensione uniforme, un po’ da
Minions di “Cattivissimo me”, ma comunque uniforme? Se ti avvolgi e tiri e
stringi fai la fine di un culatello, buonissimo, per carità. Ma se si chiama
culatello…un motivo ci sarà. Ascolta, trova il tuo punto forte e mira a quello.
Magari hai degli occhi intensissimi o dei capelli da pubblicità della Pantene. Non
è detto che debbano scritturarti per Intimissimi; pure io c’ho già messo una pietra
sopra superato il limite di crescita “toracica”, dato coi 21 anni di età, che
sarà mai, diamine.
Sentite qua. Il mese scorso ho
lavorato in un centro di telefonia per proporre un’offerta. Sostanzialmente
fermavo la gente che andava al supermercato e tentavo di estorcere due minuti
di attenzione. Devo dire, la gran parte delle persone, gentili. Poi però visto
che stavo 8 ore di fila per 6 giorni a vedere razze umane passarmi sotto gli occhi ho
cominciato a fare degli esperimenti antropologici. E sapete cosa ne è venuto
fuori? Che le femmine antipatiche avevano tutte i pantaloni stretti e un culo
che faceva provincia. Lo so perché se mi rispondevano male o mi ignoravano, le facevo
passare e poi buttavo l’occhio. E lascia respirare sti due poveri cordon bleu –pensavo-
che, volente o nolente, madre natura ti ha appioppato. E’ ovvio che se vuoi
tentare di essere slim e non lo sei, quando vedi intorno a te persone
conformate diventi rancoroso. Quindi lascia perdere. Ne gioverai in umore e sex
appeal. Ah, un’ultima cosa. E non transigo. Prendi immediatamente tutto ciò che
nel tuo armadio assomiglia anche solo vagamente al leopardato. Mettilo in un
secchio, cospargilo di alcool e dagli fuoco. Perché con quella roba lì addosso,
te lo assicuro, non fai questa figura…
Ma questa...
martedì 13 maggio 2014
Chi sa ridere di se stesso, non smetterà mai di divertirsi.
Ci sono post che metto e tolgo
per scrupolo. Per timore che leggendoli ci sia chi possa risentirsi e
offendersi. Poi però penso che qualsiasi cosa io scriva è come una creatura a
cui ho dato vita. E relegarla al silenzio mi pare immorale. Quando scrivo, tra
il serio e il faceto, riesco a dire cosa penso. Spesso mi contengo e spesso
ingigantisco perché le iperbole mi hanno sempre fatto sorridere. Può capitare
che io sia tagliente ma le intenzioni non sono mai grame. Se dovessi risultare
maleducata, però, quello sì, fatemelo notare. Il mio blog so che può arrivare
ovunque, è il potere del web. Ma mi auguro sempre che nessuno abbia a
prendersela male: questo è uno spazio che dedico alla condivisione dei miei
pensieri che, come avrete notato, sono spesso canzonatori. Riesco a scriverli e
non sempre a dirli a tu per tu, vero. E’ un limite. Ma forse anche una dote.
Tant’è. Se siete qui, sappiate che non tutto va preso sul serio. Ma su tutto ci
si può fare una risata.
Per mille lire Al-mese.
Voglio bene a tutti. A quelli che non so da quale sarcofago
siano stati riesumati fino a chi si è iscritto su Facebook tre giorni fa e si
sta facendo amici anche i parenti neozelandesi del vicino di casa, purchè sia
almesino. Voglio bene a chi si sbatte e a chi non sa dove sbattere la testa. Ne
voglio a quelli che hanno idee furbe e a quelli che credono di averle, ma...
Voglio un pò meno bene a chi sbraita e a chi fa demagogia, ma ci siete anche
voi e quindi proviamo a convivere. Sono vicina a chi ci mette entusiasmo: sia
che creda che governare sia" farsi un'esperienza", sia che sappia che
è una rogna senza precedenti. Voglio bene a chi la vive pensando di organizzare
le festicciole per gli adolescenti e voglio bene a chi non sa da che parte si
guardi un Piano Regolatore o come si stili un bilancio. Voglio bene a chi
bazzica da vent'anni perchè non mi entra in testa come diavolo possiate ancora
aver voglia. Voglio bene a chi non ha mai partecipato a un consiglio comunale
pur volendone far parte. Voglio bene a chi ci crede e a chi fa solo finta
perchè tanto ormai lo sa come andrà a finire. Voglio bene a chi ha voglia e a
chi è lì solo per far numero. Voglio bene a chi ha ricominciato ad andare a
messa -male di certo non fa- e a chi ha preso a frequentare i bar. Voglio bene
a chi mi fa sorridere e a chi mi lascia basita. Voglio bene a tutti voi,
candidati delle tre liste almesine. Vi voglio bene perchè probabilmente
passeremo delle serate intense, tirando tardi come quando vado a far la giovane
a San Salvario. Con molto meno divertimento però. Ma molto. Vi voglio bene
perchè siamo più o meno tutti nella stessa barca: sono entrambe, la mia e la
vostra, due forme di volontariato. Anche se io questo mestiere lo vorrei fare
di professione. E anche se tra di voi c'è chi, l'amministratore, lo fa di
professione. Vi voglio bene perchè sicuramente per un lustro cammineremo
insieme, talvolta. Spesso saremo in sintonia, altre volte no. Ma vi prometto
che farò di tutto per raccontare le cose così come sono e non influenzate dal
mio parere personale. Ve lo sto già dimostrando. Parlate tutti di trasparenza.
Allora lo faccio pure io. Sapete quanto prendo per venire alle vostre
conferenze stampa o ai consigli comunali che durano in media dall'ora e mezza
alle tre? 5 euro. Se va bene, e avete detto tante cose, di modo che io possa
fare un pezzo più lungo, ne prendo 10.
Poi molto spesso mi sbagliano i titoli e invertono la cronaca di Almese
con quella di Salbertand, ma questo è un altro discorso, voi non centrate
nulla. Centrate però se durante questa vostra campagna elettorale, nella quale
avete capito che si comunica anche sul web, vedo che la rassegna stampa riporta
sempre e solo i pezzi della concorrenza. Ecco. Allora lì mi girano. Non perchè
ambisca all'autoincensamento alle spalle della vostra visibilità. Sinceramente?
Chissenefrega. No, mi girano perchè ve l'ho detto che vi voglio bene. E, con
tutto il rispetto, siete voi che avete bisogno dei giornalisti.
La carità ai tempi delle elezioni.
Oggi mi è capitato di finire malauguratamente su un paio di
pagine personali di alcuni candidati alle prossime elezioni regionali del 25
maggio. E una cosa mi ha colpito. Una scritta in homepage: “Per sostenermi,
ecco il mio Iban”. Tu sei un genio! Sì, proprio tu, con la faccia da Peppa Pig
e la boccuccia a canotto. Tu che hai vent’anni e ne dimostri cinquantaquattro.
Tu che probabilmente fai la doccia con la cravatta e il Rolex al polso; hai
alle spalle sei mesi di carriera politica e hai già cambiato due partiti. Tu,
che, mi spiace, ma hai la faccia da pungiball. Tu che se papà ha abbastanza
amichetti, tra non molto comincerai a guadagnare all’incirca 9000 euro al mese.
E comunque pure se ti andasse male, la Mini Cooper che hai sotto il culo,
significa che poi tanto povero non sei. Tu che chiedi dei soldi per
sostenerti…ma accipigna: come se noi, che siamo lo Stato, non lo facessimo già
da sempre! Ma poi che diamine c’è da sostenere? Le foto in doppiopetto con la
faccia incredula? I volantini? I salatini? Devi pagarti i pacchi di patatine
per gli amici che vengono ai tuoi dibattiti? Non ti va di offrirgli la Cola del
Lidl e vuoi quella di marca? Ma nini, cribbio. Ti pare il momento di chiedere
dei soldi ai tuoi eventuali elettori? E’ solo che non riesco a biasimarti del
tutto. Comunque tu, che mi infondi la stessa sicurezza che avrei ad andare a
pescare su una barca a remi insieme a Schettino, tu. Sei un genio, ragazzo mio.
E se lo può fare uno come te, lo faccio pure io. Possiamo mettere in comune la
stessa faccia di “tolla”. L’unica cosa è che io tra un mese sarò ancora nella
stessa “bagna” di adesso. Però grazie, mi hai dato una grande idea!
Per sostenere la mia permanenza giù dal tram, il mio codice
Iban è: IT52Y0200830030000040396673.
Non faccio grandi cose, cerco solo di far ridere. Ah, anche
tu?...
martedì 6 maggio 2014
Lingue(tte) del Tg Piemonte.
Ieri leggo un messaggio di Giacomino:
“Anna per il tuo blog proverei ad inserire qualche video dei meteorologi
dell’Arpa che fanno il servizio sul tg3 regionale del mattino. Sono l’essenza
della presentazione televisiva”. Ma sì ma Jack (americanizzazione di Giacomo
per gli amici) ma sei sempre il solito polemico, che sarà mai, diamine, devono
leggere le temperature, dire se fa sole o se piove, chiunque sarebbe in grado
di farlo…Invece. Invece accetto il consiglio e mi guardo in streaming la
puntata odierna. E al minuto 00.54 capisco che Jack è davvero un amico: ho lo
spunto per il post. Giusto per sapere di cosa parlo, date un’occhiata qui. Poi
cominciamo.
http://www.tgr.rai.it/dl/tgr/regioni/PublishingBlock-8cbbd8fc-3365-4785-a7ec-950b73541553.html?idVideo=ContentItem-a99ff684-8d3a-4c3f-b618-6c765d78935c&idArchivio=Buongiorno
Partiamo dal presupposto che non
so quale sia lo share di Buongiorno Piemonte. Ma azzardo un pensiero.
Probabilmente lo guardano Giacomino, prima di aprire il negozio d’agraria; mio
cognato prima di mettere la divisa da civich e andare a far multe alle
Vallette; il portiere notturno di Mirafiori; 5 o 6 vedove della Crocetta e una
manciata di pumè (in lingua corrente, single un po’ attempati) sparsi tra le
periferie della Granda e la prima cintura di Novara. Detto questo però, non è
che dobbiamo buttare in tele il primo che capita. Ma lo avete sentito pour’om?
Che poi mi fa quasi tenerezza: quello starà con la testa all’insù tutto il
giorno per studiare lo spostamento delle nuvole e si infognerà di tabelle excel
per vedere quanti millilitri di pioggia scendono in media su Porta Pila, è
ovvio che non gliene fregherà nulla di parlare al tiggì. Quindi oggi ho deciso
di perdonarlo. Resta il fatto che lancio un appello all’Arpa: vengo io alle 7
del mattino a leggere il meteo, gratis, lo giuro pubblicamente. Mi farebbe
piacere, mi sentirei meno inutile su questa terra all’alba dei 30 anni e forse
si capirebbe qualcosa senza dovermi far leggere il labiale per interpretare
cosa dico.
Voglio però parlare dei
giornalisti Rai. Che poi ce ne sarebbe da dire per quelli di Mediaset, di La7,
di Rtl, e di Radio Maria. Ma il dibattito sarebbe troppo ampio. Mi limito a
parlare dei giornalisti del Tg3 Piemonte.
Ognuno mediamente pizzica almeno
tre o quattro lettere. Ma non la K, o la Y o al limite la Z. No. Di solito si
tratta di fonemi fondamentali della lingua italiana. Taluni hanno toni
bitonali, altri raggiungono acuti due posizioni sopra il rigo musicale. E ciò
non è una discriminante valida per distinguere se si tratti di un uomo o di una
donna a parlare. Nel dubbio leggi il nome di chi ha fatto il servizio e ti
rassegni all’idea di non aver indovinato neanche sta volta. Non parliamo poi
dell’accento. Vero che siamo tra di noi. Che magari fa pure piacere sentire un po’
di E lunghe e O così aperte che sembrano A. Ma dinci! Se gradisco un po’ di
sano barottismo vado al concerto di Bruno Mauro e la band, oppure al tavolo
delle briscolate alla bocciofila. Niente da fare, la radio e la tivù che
selezionavano solo voci impeccabili non esistono più. Non voglio mica fare del
purismo; la varietà degli accenti è anche vivace ed estremamente verace. Ma uno
che tratti la lingua con garbo, non so voi, ma a me inchioda. Cioè starei a
sentire anche l’ennesimo servizio sulle piste da sci di Limone Piemonte, senza
sentirle pronunciare una cosa come “Limuone Piemuonte”. Mi interesserei delle
zanzare killer che si riproducono nelle risaie di Vercelli senza sentire l’eco
delle E per i due minuti a seguire.
Sah, basta fare polemica. Tanto sti
giornalisti qui, anche se non parlano come un margaro di Sanpeyre, o ci sputano
fuori la linguetta tra un avverbio e una preposizione o hanno un senso estetico di dubbio gusto, un posto al sole ce l'hanno.
Vero che conta la bravura, verissimo, sempre stata d’accordo. Vero anche che
con la crisi si taglia un po’ su tutto. Ma siete proprio una banda di balenghi
se non date una mano alla Maura Fassio a capire che il tailleur rosa confetto
con le spalline l'hanno tolto dal mercato nel '92 e se non aiutate la Milena Boccadoro
a trovare finalmente la tinta giusta per i capelli. Milena: quelle della
pubblicità che ti dicono che tu vali e poi ti fanno fare il colore “pis caval”,
ti stanno prendendo in giro. Sei una donna d’assalto, non farti turlupinare. Poi c'è Nino Battaglia che le notizie non ce le legge: ce le mima con le mani come quando si gioca a Taboo.
Con questo abbiamo concluso,
passiamo la linea al meteo. Previsioni su Torino per la tarda serata di oggi: a
stisa turna.
venerdì 18 aprile 2014
Telefono senza fili.
Io sono responsabile di ciò che dico. Non di quello che gli altri capiscono. E poi, se posso aggiungere una cosa....ah no, lasciamo perdere. Altrimenti siamo di nuovo da capo. Au revoir.
mercoledì 9 aprile 2014
Se Dio ti vedesse e Stalin pure?
Come in molti paesi della zona anche ad Almese ci si sta
preparando alle votazioni del 25 maggio. Dovremo cambiare sindaco e giunta e
quel che è certo è che ci sarà sicuramente un nome nuovo alla guida del paese. Quindi,
oggi, vi racconterò come si comporta l’almesino doc, nel periodo preelettorale.
Fate partire mentalmente la musica di Quark in sottofondo perché vi parlo di
una specie dalle caratteristiche assolutamente rare e inusuali. Ce l’avete in
mente? Molto bene. Cominciamo. L’almesino doc vive in un contesto piuttosto
rurale ma nonostante ciò, rispetto agli altri ominidi dei paesi limitrofi, lui
è un po’ più borghese. Potremmo dire che Almese sta alla Valle di Susa come Borgo
Crimea sta a Torino.
L’almesino doc è un esemplare fatto e finito e marcabollato
di “piemontese falso e cortese”. Cura i suoi interessi e si dedica allo
sputtanamento altrui con fine classe e circonvenzione. Preferisce mantenere
buoni rapporti con tutti anche con quelli di cui ha una bambolina voodoo che
infilza prepotentemente la sera, nel chiuso della sua cameretta. L’almesino doc
sorride in modo subdolo e batte pacche sulle spalle per poi sciacquarsele
subito dopo. Per farla breve, se sei di Almese, non ti esponi. Mai. Neanche con
tua madre, neanche con tua moglie.
Penserete che ne stia venendo fuori un ritratto orribile? Ma
no, l’almesino si sbatte pure e si dà da fare. Che poi non sconfini dal suo
orticello neanche in caso di eclissi totale permanente, invasione di cavallette
e carestia fulminante, questo è un altro paio di maniche. E’ che quelle di cui
sopra sono caratteristiche essenziali per questa analisi specificatamente preelettorale;
quindi non me ne vogliate, sono almesina doc pure io, con tratti sanguigni
riveresi, insomma: roba che non auguro a nessuno.
Dovete sapere che, mediamente, l’almesino doc, non si
candida. O meglio, l’almesino doc che avrebbe anche tutte le carte in regola
per essere uno stimato cittadino, colto, concreto e onesto, preferisce girare
alla larga e non prendersi rogne che in qualche modo lo rendano troppo pubblico.
Non che altri almesini che negli anni si sono dati disponibili non fossero colti,
concreti e onesti. E’ solo che magari avevano uno spiccato senso del brivido ed erano immuni alle dicerie o agli sguardi sdegnosi. Perché se ti candidi e poi
perdi, da noi, funziona che la gente, per un po’, fin che non si è dimenticata
che ci avevi provato, ti disprezza. Chissà poi perché? Uno ha già la sfiga di
essersi messo in gioco e di non aver preso manco i voti della cognata o dello
zio, deve pure sentirsi emarginato. Ma robe da matti.
Oltre tutto non si sa mai che
diamine voti un almesino. Alle politiche vince il centro destra e alle comunali un sindaco
comunista. Sei convinto che uno c’abbia la faccia da Pd e invece c’ha la
tessera della Lega. Ecco, ad Almese vige una spessissima coltre di dubbio su
cosa pensi politicamente la gente. Facciamo un esempio. A Sestriere sapete cosa
votano? Ma ovvio. A Vaie o a San Giorio, lo sapete? Assolutamente sì. Tu vai in
questi posti e sai perfettamente quali sono le famiglie di sinistra, di destra
o dei catto-comunisti. Ad Almese no. Se potessi essere un mosca bianca (e anche
un po’ anticostituzionale) entrerei nelle cabine elettorali e sono certa che
avrei delle sorprese inimmaginabili.
Beh, questo voleva solo essere un panegirico per rassicurare
gli attuali candidati. Chi vi dice che vi voterà, probabilmente il 25 maggio
sarà a fare pic-nic a Bergeggi. Chi vi dice “bravo, servono persone motivate
che si impegnino”, quel giorno disegnerà donnine nude sulla scheda elettorale
(ah, lo dico con cognizione di causa: avendo fatto la scrutatrice se ne vedono
di ogni). Se avete voglia di candidarvi, fatelo con la stessa consapevolezza
con cui si mollano i pedali della bici giù per una discesa di montagna. E se
poi ci saranno dei denti rotti, non vi preoccupate: qualche almesino doc vi
dirà che state così bene con quei due buchi al posto degli incisivi…
martedì 1 aprile 2014
Non di solo selfie.
Si dice selfie solo perché fa figo. Anche se non è nulla di
diverso da un autoscatto. Ma si sa, il termine autoctono rischia di essere così
banale e poco accattivante... Che poi uno, mediamente, si faccia un selfie con
sullo sfondo le piastrelle del bagno, è un altro discorso. Quello denota proprio
la “solitudine del cesso”. Trattasi di uno status che una volta accompagnava i
lettori di Topolino e della Gazzetta che sulla tazza si procuravano una
anestesia temporanea che colpiva le natiche. Ora invece è il luogo deputato alla
ricerca di conferme del proprio essere esteriore. Ci sono cascata pure io eh.
Sei lì che ti lavi i denti e tra uno sputo e l’altro ti guardi allo specchio e
pensi, “toh, guarda oggi, non sono verde kiwi come al solito; non ho la pelle a
solchi geometrici come i canestrelli e neppure i capelli di una cavia tibetana.
Spetta che mi faccio una foto”. E magari fuori c’è già chi si è incatenato alla
porta e ha preso una saldatrice per scardinare la serratura e riuscire
finalmente ad entrare per conquistarsi il suo diritto quotidiano alla libertà.
Intanto tu dentro hai già fatto un book pari a quello di un viaggio safari e
stai scegliendo la foto con l’occhio più vispo e lo sguardo un po’ meno ebete
di quello che hai di solito. Perché ovvio: quella foto, ne sei certo, non
rimarrà solo un tuo diletto. Quella foto, sì, proprio lei, quella in cui
traspare quello che tu credi sia il massimo del sex appeal (in realtà la
sensazione che si ha nel guardarti è simile a quella che si ha contemplando una
tapparella o uno swiffer) è stata fatta per essere c-o-n-d-i-v-i-s-a. Indi per
cui merita spendere ancora qualche minuto per darle una aggiustatina con
qualche filtro magico made by Instagram o Retrica. Nel frattempo chi continua
ad aspettare che tu esca dal bagno ha già ripetuto ad alta voce, per quattro
volte e in ordine alfabetico tutti gli improperi che conosceva. Ti ha augurato
la peste, il tifo, la malaria e l’herpes. E sta disperatamente cercando una
scusa per suonare al vicino chiedendo asilo. Ecco. Avete mai notato? Nelle foto
di Instagram sono tutte gnocche. Ma tutte! Quelle basse sembrano alte, quelle
strabiche sembra abbiano occhi da cerbiatto, quelle grasse acquisiscono forme
più dimensionate e quelle antipatiche paiono quasi graziose. Scegli il filtro
migliore e parte il tasto condivisione. Mediamente quell’immagine diventa foto
profilo di Facebook, Twitter, Whatsapp, Linkedin, Google+ e pure Badoo e
Meetic, diciamocelo. Te la ritrovi ovunque. Piuttosto ti scartavetreresti il
bulbo oculare pur di non vedertela propinata per l’ennesima volta sotto il naso,
ma niente. Sarà sempre lì, fin che non ne arriverà un’altra in tutto e per
tutto identica a questa, fatta e ritoccata come nel siparietto di cui sopra. Pubblicata
la foto parte la manfrina di cui le ragazze sono campionesse olimpiche: il
complimento interessato. Della serie: se oggi ti dico quanto stai bene in
questa foto, domani tu dirai lo stesso della mia. E così si innesca un
meccanismo diabolico per cui questi selfie mediamente hanno 387 like e 55
commenti. Meno della metà della metà, sono sinceri. Ma meno eh. Partono cuori e
amore a profusione, si gode di quei momenti di gloria che ci si è procurati e con
falsa modestia ci si congratula a vicenda attribuendo meriti alla sola Madre
Natura. Ma ci si dimentica sempre, in modo molto ingrato e ingiusto, di quel
poveretto là, fuori dal bagno che, maledicendovi, vorrebbe lasciare anche lui
il suo I don’t like!
lunedì 31 marzo 2014
Terremotidigitali.
Mi autodenuncio. Ho sentito il terremoto poco fa. Non con il suo classico boato, ma con un ondeggiamento di arredamenti nettissimo. E la prima cosa che ho fatto è stata scriverlo su facebook. Non mi sono ficcata sotto uno stipite, non mi sono rintanata sotto la scrivania. No. L'ho detto al web. Terremoto mi colga e mi porti via, maledetta me digitalizzata!
mercoledì 19 marzo 2014
Aggratis.
Riflessione breve e buoni propositi: devo smetterla di pensare che la mia professione non sia remunerabile. Devo smetterla di fare voli pindarici e giri di parole per chiedere, molto banalmente, ma anche in modo assolutamente doveroso: per questo lavoro quanto mi P-A-G-A-T-E? Lasciamo stare i contratti, per carità divina. Ne ho uno in stand by da un mese perché si sono "dimenticati" di scrivere i miei compensi; ma suvvia, son quisquilie che possono capitare: sono inezie! Chi fa i contratti è già così oberato, poveretto, che può anche capitare che si dimentichi un dettagliuccio simile. Leggasi definizione alla voce: furbetti. Invece è 10 anni che faccio sto mestiere ufficialmente e mi succede ancora di vergognarmi nel chiedere quanto mi spetta. Normalmente mi capitano dialoghi su per giù così. Prendo coraggio, studio a memoria la frasetta educata da dire con sorriso plastico e sguardo convincente e quando è ora di partire mi viene l'occhio vitreo, la voce tremula e le mani sudaticce: "Questo tipo di prestazione che vi offro potrebbe essere eventualmente, un domani, nel 2035, durante la prossima eclissi totale di sole, sempre se non vi chiedo troppo, non-vorrei-disturbare, siete già così carini a darmi tutto sto malloppo di roba da scrivere, ma poi tanto ho il Q8 sotto casa e praticamente la benzina me la regala in fondo, quindi posso pure andare a fare un'intervista al Triangolo delle Bermuda (che tra parentesi è l'ultimo indumento che mi è rimasto), eh niente...che vi volevo chiedere? Nulla, ci mancherebbe altro! Anzi, grazie che abbiate pensato proprio a me! Mi metto al pc e scrivo il pezzo. Ah, deve essere pronto tra un quarto d'ora? Ma certo, e che problema c'è!?". Già, che problema c'è?
mercoledì 12 marzo 2014
Nonne alla riscossa.
Le donne vivono di più. C’è niente da fare. L’ho proprio
capito oggi. Senza leggere sondaggi o indagini demografiche. L’ho capito perché
Nonna Terry oggi fa 101 anni e non credo abbia intenzione di tirare le cuoia tanto
presto. In più stamattina ho accompagnato mio padre a una visita oculistica all’ospedale
di Avigliana e l’età media sfiorava i 97 anni, con una massiccia presenza
femminile. La sala d’aspetto sembrava un carnaio, come quando all’Università
regalavano la tessera musei e c’erano in fila centinaia di studenti, la maggior
parte dei quali, era in coda per omologazione, chissenefregava del museo
egizio. E normalmente in questo marasma di persone con in mano il numerino come
dal salumiere, c’è sempre il saggio di turno. Il pensionato piemontese che ha
trascorso più ore alla bocciofila che in Fiat, pur avendoci lavorato una vita. Mediamente
occhialuto, capello bianco e caplin con visiera, marcato negozio d’agraria o
Fidas. Cintura nera di detti popolari e frasi fatte, parla una sola lingua
indifferentemente con autoctoni, siciliani, svizzeri o rumeni: il piemontese. Leggasi
con la O bella larga, quasi fosse una A, e la E un po’ strascicata. Vero che
rende meglio l’idea? Ecco, lui a un certo punto, stamattina dice (io lo scrivo
in italiano, mi perdonerete spero, ma se potete, pensatelo in dialetto): “E’
pieno di centenari. Al tg Piemonte la Milena Boccadoro ha fatto vedere un
servizio su una fumna di 100 e passa. Perché sono poi tutte donne quelle che
campano a lungo neh. A noi basta un niente e andiamo al Creatore; quelle lì
invece tirano avanti come dei caterpillar. E’ pieno di vedove per lì in giro.
Noi se rimaniamo da soli non ce la caviamo mica. Le fumne invece son già
bituate a fare le cose per conto loro”. Bon. Femmine 1- Maschi 0. Adesso vado da Nonna
a festeggiare. Mangeremo come se non ci fosse un domani perché lei trita anche
le pietre. Ultimamente è un po’ più rinco del solito. Ma io lo so che lo fa
apposta, per far girare le scatole a mia mamma e a mia zia, che son gemelle,
quindi una vera rottura al quadrato. Perché quando siamo sole io e lei,
chiacchiera a proposito ed è in perfetta forma. Appena tornano loro, finge una
catalessi temporanea e risponde solo a monosillabi. Ne sono sicura. Nonna la
notte si veste da wonder woman, si cala giù in strada con le lenzuola del letto
ortopedico e scorrazza per la città sconfiggendo il male. La sua missione sulla
terra non si è ancora conclusa. C’è ancora tanto da fare prima di entrare nell’albo
d’oro dei miei personalissimi supereroi!
mercoledì 5 marzo 2014
Oggi no.
Avevo in mente altro. Però oggi non sono in vena. Capita.
Capita soprattutto quando per l’ennesima volta vieni rimbalzato. Quando ancora
una volta ti dicono: “profilo eccellente ma ci dispiace davvero tanto, abbiamo
scelto un altro candidato”. E a me? A me non dispiace? Che me ne faccio dei “avremmo
proprio voluto prenderti ma…”; a cosa servono i “in futuro vorremmo comunque
collaborare”. A me il lavoro serve adesso. Ora. Se no come fa ad esserci un
futuro? A vendere parole si fa la fame. Questo l’ho capito. Ma cosa ne posso,
se è l’unica cosa che so fare? Forse l’unica che mi piaccia, in tutte le sue
forme possibili. Ho inviato 172 curriculum negli ultimi mesi. A tutte le radio,
i giornali e le agenzie di comunicazione nel raggio di 50 km. Valle, col suo
mortorio, compresa. Mi sono candidata per fare la commessa da Decathlon, da
Pimkie, da Zara e tutte le altre marche che vi vengono in mente. Ditemi una
grande azienda, una qualsiasi, e l’ho mandato pure lì. Ho risposto ad annunci
di bar e pizzerie. Ma per fare la commessa o la cameriera, devi aver maturato
almeno due anni di esperienza nel settore. E servire al pranzo degli Alpini o
vendere biglietti al Frais non accresce il portfolio nel settore. Ho fatto una
scelta coraggiosa; per qualcuno anche incosciente; a un certo momento ho
lasciato una strada più o meno sicura, mi sono guardata in faccia e ho creduto
che la passione per un mestiere, quello di scrivere e parlare, fosse ciò su cui
dovevo puntare. E diciamocelo, quello in cui sono anche brava. Poi vedendo come
buttava ho abbassato il tiro. Mi rimangono ancora i call center e le agenzie
che ti mandano per strada a vendere fuffa alla gente. D’altronde quando cerchi
un’offerta di lavoro e metti come voce chiave “comunicazione” sono queste due
le principali opportunità che ti escon fuori. Che caratteristiche devi avere
per lavorare in radio, per fare la giornalista o la speaker? La formazione. Ce
l’ho. Non è mai abbastanza, chiaro. Ma c’è. Il talento. Forse sì, ho pure
quello. E poi? Poi bisogna essere giovani ma con esperienza, vecchi ma non
pretenziosi. Poi magari devi conoscere l’amico del cugino del direttore. Poi
arrivare al posto giusto, nel momento giusto. Poi Giove deve essere in
congiuntura astrale con Marte, Venere e Plutone. Ah e poi, possibilmente,
dovresti lavorare gratis. Ma come i 12 anni precedenti, dacché ho cominciato?
Esatto, al massimo un rimborso spese. Uh, caspita grazie! Grazie davvero. Mi dico
che ho sbagliato tutto. Dovevo fare il medico o l’avvocato o l’ingegnere.
Peccato mi faccia schifo. Potevo nascere in una famiglia danarosa e vivere di
rendita. Ma grazie a Dio non è successo. Mi ripeto come un mantra che piuttosto
che essere figli-di-papà è meglio essere poveri. Però. Però oggi si è chiusa un’altra
porta. E per l’ennesima volta non so che cosa ho che non vada. Del mal comune
mezzo gaudio, sinceramente, me ne fotto. Molto di più invece, mi pesa dovermi
far pagare il dentista dai miei o farmi regalare le gomme da neve da mio
fratello. Delle altre rinunce non mi interessa: si può mangiare solo verdura
senza pagare a prezzo d’oro il filetto; di vestiti, anche se passati di moda,
ne ho pieno l’armadio. Le vacanze non è obbligatorio farle. Con gli amici puoi
uscire anche senza andare in pizzeria. Però. Però è l’autostima sotto le scarpe
che brucia. E’ il “non ti scoraggiare che prima o poi qualcosa arriverà” che sa
di presa per i fondelli. E’ chi ti chiede cosa fai nella vita che ogni volta è
come se ti rifilasse uno schiaffo in piena faccia. E’ il momento di grave crisi
economica che però non è uniformemente spartito tra tutti. E’ il bonifico per l’affitto
che ogni mese ti comunica che tra un po’ non lo potrai più pagare. E’ il
pietismo. Oggi è così. Non c’è niente da ridere. Perché non sono più giù dal
tram. Ci sono finita sotto.
mercoledì 26 febbraio 2014
Il malato immaginato.
Ieri sera ho sbattuto inavvertitamente due dita del piede
contro la gamba del letto. Ecco. Non dico altro. Perché prima o poi questa
sciagura infausta è capitata a tutti. E sapete cosa intendo se parlo di un
dolore atroce che dalla pianta del piede ti attanaglia le gambe poi la pancia
con un morso tremendo e ancora su, su fino a rimbombarti nel cervello. Pensate,
io che non ho propriamente un linguaggio edulcorato da educanda, non sono
neanche riuscita a imprecare. Però ho pianto. Ho pianto e riso insieme. Vi è
mai successo che questi episodi vi provochino anche delle risate inconsulte?
Tant’è che, giustamente, chi ti sta intorno pensa che tu stia facendo solo
cine. Bene. Questo è solo un pretesto per riflettere sul modo che ognuno di noi
ha di reagire al dolore fisico presunto o reale. Ci sono tre categorie di
persone: gli ipocondriaci, gli affannati e i negligenti. Io faccio parte
dell’ultimo gruppo: infatti tutt’ora zoppico come se fossi reduce dal Vietnam.
Ma mi crogiolo nel pensiero che tanto prima o poi passerà. Un affannato avrebbe
consultato subito qualche forum sul web, poi si sarebbe messo il ghiaccio e la
pomata, avrebbe fatto gli impacchi con la malva (avete mai notato che la malva
va bene un po’ per tutto? Hai i calli? Applica della malva. Hai la stipsi?
Fatti una tisana con la malva) e se proprio non fosse cessato il dolore avrebbe
consultato il solito medico di fiducia, col quale ha instaurato un rapporto
così intenso che ormai la diagnosi gliela fa per telefono senza neanche ascoltare
dove, sta volta, si senta male. L’ipocondriaco no. L’ipocondriaco sarebbe
direttamente andato al pronto per farsi una lastra, convintamente sicuro di
essersi procurato una frattura. Delle più gravi, per di più, e irreversibili,
causa dell’alluce valgo e di numerose altre complicazioni e patologie che la
medicina non ha ancora scoperto. Beh. Come vedete, nessuna delle tre categorie
è impeccabile. Ma alcune fanno più sorridere di altre. Ho amiche carissime che
hanno già provato tutti i tè: verde, nero, tè bianco, tè bancha. Vanno a
scovare il negozietto che gli garantisce la purezza maggiore del prodotto e poi
confrontano –sempre sui forum di internet- proprietà e benefici. Pure io mi
sono fatta convincere dai miracoli curativi di questa tipologia di bevanda e l’ho
comprato. Dovevo bollirlo, filtrarlo, metterlo nel thermos, senza zucchero e
berne almeno 1 litro al giorno. Al terzo, mi sono rotta e ora il tè miracoloso
lo uso al mattino per pucciarci i biscotti. Gli affannati hanno un elenco
lunghissimo di cibi che contengono sostanze presumibilmente cancerogene. Se lo
sono fatto dettare in spiaggia dalla vicina di ombrellone che vanta un master
in tuttologia non indifferente. Hanno l’amuchina nella borsetta e si lavano le
mani 27 volte al giorno. Se però tu, negligente, stai male, sono così
affannati, ma di cuore, che si occupano di te. Ti consigliano farmaci e rimedi,
cure alternative o palliative. E, mediamente, vista la loro esperienza, ci
beccano. Così ti evitano un giro inutile dal medico della mutua. Poi ci sono
gli ipocondriaci. Se inavvertitamente fai uno sternuto accanto a loro, ti
chiedono se hai l’aviaria. Si infilano la mascherina sulla bocca e ti giurano
che se dovessero ammalarsi tu sarai considerato il loro untore. Se hai un amico
ipocondriaco non azzardarti mai a dirgli una frase tipo: “sei pallido oggi”.
No. Comunicargli questa vostra banalissima osservazione potrebbe metterlo in
crisi totale. Comincerebbe a sentirsi tutti i sintomi possibili e immaginabili
che in breve tempo potrebbero portarlo al Creatore. Ripeto: fatevi gli affari
vostri e ascoltate con biblica pazienza i loro lamenti. Gli ipocondriaci sono
mediamente sani come dei pesci ma hanno tutte le malattie del mondo. Il loro
non sarà mai un semplice raffreddore, no: loro hanno come minimo la sars. L’ipocondriaco
non ha mal di pancia: ha un principio di peritonite acuta. Non ha due linee di
febbre: ha la malaria. Non ha mal di gola ma forse le tonsille da operare.
Conosce tutti i pronto soccorso della zona, avendoli frequentati nelle più
svariate ore del giorno e della notte. Ha una laurea honoris causa in patologia
ed è testimonial del prontuario farmaceutico nazionale. C’è poi una
sottocategoria di ipocondriaco, che è diabolica: l’ipocondriaco fiero e
consenziente. Quello che ha voglia di esserlo. Avevo delle colleghe che ad
assistere ai loro discorsi sembrava che vivessero in un lebbrosario. Magari
attaccava il bottone una che in modo molto angelico comunicava che il figlio
aveva un lieve principio di influenza intestinale. Bon. Quello era l’inizio
della fine. Dovevi metterti comodo e assistere al duello. Si riunivano come
calamitate tutte le colleghe dotate di prole e partiva la sfida a chi aveva
dovuto gestire il malanno più grave e complesso. Ne uscivano fuori ritratti di
bambini cagionevoli ma bionici, per aver superato tutte le peggio disfunzioni
esistenti. E voi, ve lo chiedo saltellando su un piede, che malati siete?
giovedì 20 febbraio 2014
mercoledì 19 febbraio 2014
Diversamente giovani.
Ce li avete presenti quei
signori di una certa che si avviano a diventare anziani? Quelli che hanno già
passato il fiore dei 30 e la maturità pimpante dei 40; hanno già fatto il giro
della boa dei 50 e si apprestano a rinnovare la patente sempre più frequentemente
e ad andare dall'urologo almeno una volta ogni sei mesi. Ecco, di quei signori
lì voglio parlare io. Quelli che a un certo punto, quando camminano per il
paese, stanno leggermente curvi e ciondolano avanti e indietro le braccia lungo
il corpo. E’ una cosa imprescindibile: quando hai 25 anni non la fai, ma a 72
sì. E’ un automatismo. Poi, se vanno in bicicletta, di solito usano dei reperti
della Prima e stanno con le gambe un po’ larghe, forse per aiutare le giunture
delle ginocchia a non partire definitivamente. Ne avrete visti; alcuni pedalano
trasportando l’impossibile: scale, latte (non quello munto, sto parlando delle
tole), carriole, fascine. Roba da arresto immediato per violazione della 626. Molto
spesso hanno pantaloni di velluto o di fustagno un po’ abbondanti e camicie a
quadri scozzesi. Sono gli ultimi reperti viventi di ominidi dotati di pensione,
presa in fase non ancora del tutto geriatrica. Così, per sfuggire alle grinfie
delle mogli, che, mediamente, sono delle rompipalle di dimensioni colossali, si
trovano impegni e occupazioni di vario tipo: diventano falegnami, boscaioli,
intagliatori, fresatori, elettricisti, coristi, manutentori, volontari, Alpini,
pittori, colf addetti alle commissioni, piloti professionisti di passeggini,
carrozzine o trattori, indifferentemente, trascinatori di tricicli, autisti e
portalettere. Ecco, a tal proposito, apriamo anche una parentesi sul modo di
guidare che questi signori hanno assunto col passare del tempo. La vista si è
abbassata, i riflessi non sono più pronti come quelli di una volta ma loro
guidano come se non ci fosse un domani. Avete mai notato? Non sono ancora
caduti nel baratro senza ritorno del nonu che guida in centro strada e tiene la
prima per almeno 200 metri, no. Loro sono in un limbo di vitalità, in cui
credono di avere l’esperienza giusta per potersi permettere qualsiasi tecnica
di guida. Vanno agli 80 nelle strade a curve di montagna ma ai 40 in statale.
Azzardano sorpassi con visibilità zero e si immettono negli incroci con la leggiadria
di un paso doble. E tu, al lato del passeggero, ti appendi alla maniglia
interna snocciolando tutti i rosari che non hai detto in vita tua. Torniamo a
noi. Anzi, a loro. Di solito sono una specie mite e mansueta, stile che hanno
affinato per evitare ulteriori affettamenti bilama delle consorti di cui sopra.
Si muovono sicuri e gioviali per il paese. Ne conoscono la storia, ne hanno
visto l’evoluzione, vivendo in modo consapevole sia la Guerra, sia il Boom, sia
le Rivoluzioni, sia il Declino totale. Quello che, invece, è stato praticamente
donato a noi con pacco a forma di missile, sopraggiunto da dietro. Ma dicevamo.
Loro conoscono tutti, salutano tutti e si fermano volentieri per una battuta.
Perché sono anche simpatici. L’unico inconveniente è che a volte capita che le
funzioni digerenti interne non siano più così efficaci e quindi il loro alito
non invita propriamente a un incontro appassionato alla Humphrey Bogart e
Ingrid Bergman. Però loro in fondo, in fondo lo sanno. Ed essendo buoni, come
detto, vanno sempre in giro con le Monk’s nella tasca delle braje e sovente le
offrono. Solo che le caramelle del monaco balsamiche, oltre a donare sollievo
contro tosse e mal di gola e a ridare al fiato un aroma più fresca, ti brasano
completamente l’epiglottide e stimolano
le ghiandole alla produzione di saliva sufficiente per spegnere l’incendio.
Quindi, onde evitare di vivere due minuti di paura, declini l’invito, saluti e
auguri buona giornata, scappando a gambe levate. Ognuno di noi ha un nonno o un
papà così. Dite la verità. E allora il compitino per oggi è questo, se potete.
Avvicinateli. Odorate la loro pelle coriacea che sa di colonia. E dategli un
bacino sulla guancia e sulla barba appena fatta ma spessa. Si stupiranno e si
commuoveranno. Perché quei signori lì non sono abituati alle smancerie. Ma se
le meritano. Ogni tanto, se le meritano.
mercoledì 12 febbraio 2014
Fiato alle trombe.
Avvertenze. Questo post non è
adatto a schizofrenici presunti, strombettatori compulsivi, aizzatori di folle
con fare tamarro. No. Voi no. Hic et nunc, ci vogliamo prendere una pausa,
lontano dal caos, dai clacson e dalla gente agitata. Lo spunto mi viene dalle
immagini che sui giornali e sul web descrivevano lo sciopero che il 5 febbraio
ha mandato in tilt la metropolitana londinese.
Guardateli. Sono in fila per due.
Ordinati. Mani in tasca. Mi piace perché lì in mezzo ci saranno il manager e la
badante, il broker e la colf. Ma nessuno prevarica sugli altri. Se sono lì,
hanno un motivo valido per esserci e per aver bisogno di prendere la metro,
allo stesso modo di tutti gli altri. Hanno lo sguardo paziente di chi sa che se
è stato indetto uno sciopero, non è che si possa far molto se non aspettare. Se
Romano Prodi decidesse fantasmagoricamente di ricandidarsi, io gli suggerirei
quest’immagine per la sua campagna elettorale. Mi vien quasi da pensare a
questo post a bassa voce. Non che voglia tessere le lodi dei londinesi, ci
mancherebbe. Vorrei però appendere per le orecchie allo stendibiancheria tutte
queste categorie di persone che vado elencando: quelli che non è ancora
scattato il verde e già suonano. Quelli che tagliano le file, in posta come ai
musei vaticani e quando glielo fai notare o cadono dal pero o si scocciano,
pure! I politici che nelle conferenze di partito urlano nel microfono un po’
per fomentare l’applauso, un po’ per dar credito alle nullità che stanno
dicendo. Le mamme che per sgridare il bambino che piange a squarciagola in un luogo pubblico, solitamente urlano frasi prese dal metodo teorico della
signorina Rottenmeier per dimostrare al mondo la loro autorevolezza. Al
termine di ciò, solitamente, il bambino sbraita più forte di prima. Quelli che
quando c’è coda in tangenziale passano nella corsia di emergenza. Quelli che
mentre tu parli e magari sei pure un po’ contrito nel tuo argomentare, ti
interrompono con un consiglio non richiesto che, quasi sempre, prende spunto
dalla loro vita che è, quasi sempre, un modello da imitare. Quelli che in sala
d’aspetto dal medico raccontano tutta la loro anamnesi famigliare, dalla
varicella del nipote di terzo grado, al dettaglio della loro ultima
rettoscopia. Quelli che in attesa ai
botteghini dello stadio vedono che di fronte a te ci sono altre seimila persone
ma decidono comunque di spingere. Quelli che sui mezzi pubblici ti fissano. Quelli
che tengono la suoneria con la Cavalcata delle Valchirie che sfonda il muro del
suono. I logorroici; gli inservienti, consulenti e negozianti che trattano male
i clienti. Quelli che hanno la macchina ribassata, con la marmitta
appositamente sfondata e Gigi D’Alessio a palla. I vecchi che ce l’hanno sempre
con i giovani, i giovani che si lamentano dei vecchi. I cani dei vicini. Quelli
del piano di sopra, la serranda del negozio di sotto. E infine quelli che dai
blog scrivono e pontificano su tutto e su tutti. Ops...
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