AnnaGiùDalTram

sabato 27 dicembre 2014

domenica 21 dicembre 2014

Il mio Noncabolario -parte 1-

Ci sono espressioni che non sopporto. Mi dà fastidio il “condivido” detto da chi digrignando i denti in realtà la pensa in modo diametralmente opposto al tuo. E quel “condivido” è solo un modo elegante per cospargere la supposta col miele. 
Mi danno i nervi le ragazzette che iniziano monologhi dicendo “con il mio ex e bla bla bla”. Hai 18 anni mal contati e la spocchia da cinquantenne radical chic: ascolta me, se continui di sto passo tra non poco ne avrai così tanti di “ex” che memorizzando il tuo nome sul cellulare alla voce “ebola”, ti faranno passare la voglia di tirartela per essere stata piantata. 
Non sopporto la parola “condoglianze” fondamentalmente perché non vuol dire nulla. E’ un escamotage senza sentimento per riempire un silenzio quando non si sa cosa dire. Ecco, a volte, il silenzio, sarebbe proprio l’unica cosa da dire. 
Mi danno l’orticaria quelli che usano perifrasi e avverbi per arricchire concetti vuoti: “invero, sebbene, malgrado, cosicché”. A volte cado anch’io in questa trappola e allora cerco di ripetermi come un mantra “parla come mangi il pollo, parla come azzanni la pizza, parla come pucci i biscotti nel tè”. Non sembra, ma poi riesco a farmi capire meglio. 

lunedì 15 dicembre 2014

Giù il sipario.

Il dolore dev’essere intimo. Non ha nessun senso lasciarlo in balìa di sconosciuti e curiosi. Va custodito e vissuto con dignità e affrontato con chi ha orecchi e cuore per capire. Con chi c’è e con chi rimane, nonostante tutto. Altrimenti si corre solo il rischio di sembrare “dei patetici coglioni”. 

martedì 9 dicembre 2014

Velociraptor, aiutaci tu!

C’è una categoria di invertebrati che ultimamente mi sta capitando di frequentare più spesso da quando viaggio in tangenziale per recarmi al lavoro. Sto parlando di quelle teste di quiz che quando sulla A55 si sta appiccicati come il 15 di agosto sulla spiaggia di Borghetto Santo Spirito, loro, i cicisbei, passano con nonchalance nella corsia d’emergenza. Tranquilli come delle pasque, oltretutto. A me in quei momenti scatta l’ultras alla Giovanna d’Arco e vorrei virare tutto a destra per pararmi in mezzo alla loro saccenza. Ma perché la tua specie non è ancora in via d’estinzione? Sai cosa ti augurerei? Di stare una settimana rinchiuso in una voliera di piccioni a spartirti il pane duro con quei pennuti. Ma secondo te, se siamo bloccati come una coscia di pollo nell’esofago, ci sarà un motivo no? Molto probabilmente qualche sfortunato ha fatto un incidente, oppure c’è qualche cristiano che sta lavorando. Se non per noi che siamo tutti dei barboni in coda con te, almeno per questi poveracci, non ce l’hai un po’ di rispetto?  Arrogante e snob che non sei altro. Ogni giorno spero che dall’alto arrivi un elicottero della polizia stradale che ti afferri con gli artigli come un velociraptor e ti scarichi poco più in giù, a fare compost all’Italconcimi.  Esisterà una punizione divina per i prepotenti cafoni come te. O no?

martedì 18 novembre 2014

Non finisce qui.

Tornerò. Non so se sia una promessa o una minaccia. Fate voi. Ma al blog penso spesso. Soprattutto quando registro e catalogo storie che vorrei raccontarvi come avevo cominciato e come mi piaceva fare. Un sacco. Niente verrà perso, è solo tutto in standby. Sono assente da circa tre mesi. Perchè ho trovato un lavoro. Sovente anche qui ho scritto dei pipponi niente male quando l'attesa di trovarlo diventava sempre più snervante. Ma ora ce l'ho. Mi sono aggrappata al tram. Non posso dire di aver un biglietto di 1° classe con posto assegnato. Però c'è una cosa: mi piace tantissimo. Mi trovo benissimo. Vorrei tenermelo strettissimo. Temo sia il lavoro della mia vita. Non sono scaramantica e non credo di essermela gufata. La speranza comunque, è di tornare qui, presto, con qualcuna delle mie solite. Con quell'unico obiettivo per cui è nato il blog: ridere incondizionatamente di noi stessi.

domenica 7 settembre 2014

Se io non sono la concorrenza.

Sì. Lo stordito seriale esiste ancora. Quello che crede di padroneggiare ogni ambito della vita sociale di paese. Quello che per farti notare quanto tiene a te ti dice con l'occhio luccicante e un pò sottovoce, che grazie alla sua bomba tu farai il grande salto: "Ho una notizia interessantissima da darti così la scrivi. Dov'è che lavori già?". Ecco, appunto. Sono 12 anni che scrivo nello stesso e medesimo posto. Tutti i santi giovedì dell'anno, escluse festività e vacanze (poche, per altro) e non lo sai?! Per lo meno, visto che in realtà dovrei farti un favore, preparati! Ma il peggiore è lui: "Volevo poi farti fare un articolo: scrivi ancora per Luna Nuova?". Sono sempre 12 anni che ogni anno torni puntuale e pruriginoso come il canone Rai da pagare e ancora non hai capito che quella è la concorrenza? (che, oltre al resto, da che mi risulta, son sempre 12 anni che non ti caga e infatti gli articoli vieni a farteli fare da noi?!). Sarebbe come chiedere a Del Piero "Come ti trovi con la dirigenza Cairo?" e "Riesci a procurarmi due biglietti per la maratona?". Ma, fai tu.

mercoledì 27 agosto 2014

Se l'impiegato pubblico finisse su Tripadvisor, quante stelle prenderebbe?

Voglio istituire il tripadvisor degli uffici pubblici. Immagino che ognuno di voi abbia la sua esperienzuccia simpatica da condividere. Io questa mattina vado al centro per l’impiego, pensando che fosse meglio di una telefonata. Col senno di poi…Va beh. Vado, ore 9.30 circa. Non c’è anima viva. L’impiegata è libera e scazzata mi dice “prego”, facendomi capire che devo anche muovere le chiappe e sbrigarmi a sedermi davanti alla sua scrivania. Cominciamo bene. Le spiego con garbo il motivo per cui sono andata lì, concludendo con un “che cosa devo fare?”. Al che la (aspettate un momentino, devo trovare un sinonimo di stronza…mmm…niente da fare, non lo trovo, spiace che debba scrivere una parolaccia ma, davvero, non trovo le parole). Comunque la “lei” mi fa “Ah io non so proprio cosa dirle”. Sorrido e dico “bene…”. Vorrei anche suggerirle che tanto per iniziare può smetterla di mangiarsi i Plasmon mentre le sto parlando, sputandone residui mollicci e inumiditi sulla tastiera del computer. Ah ecco, il pc. Razza di una cariatide, che ne dici, per esempio, di controllare sul monitor la mia situazione lavorativa? Così, te lo do come suggerimento. Lo fa, mandandomi chiaramente una makumba con lo sguardo. “E ma qui risulta che lei bla bla bla, quindi niente”. No, un attimo. Niente cosa? Mi chiudo tra me e me un secondo e faccio filosofia zen. Poi chiedo -sempre garbatamente perché comunque si tratta di una persona anziana che sta lavorando e dunque le devo il massimo rispetto- “potrebbe spiegarmi che cosa si deve fare in questi casi”? Mi dice, guardando sopra le lenti da riposo con la montatura lilla e il cordino in tinta che le balla sulle guance che ballano pure loro ad ogni suo sussulto: “Io non posso dirle quali soluzioni prendere”. Beh, credo, se non erro e non voglio addentrarmi nella deontologia professionale dell’impiegato del centro per l’impiego, ma pare e scusa se mi permetto di fartelo notare, che in realtà, fornirmi una quadro sommario dei percorsi che potrei affrontare, rientri tra le tue competenze. Sorrido di nuovo, ma preferirei infilzarmi la giugulare con le bic che tiene ordinatamente impilate nel portapenne sulla scrivania, e le dico: “Guardi, io non le sto chiedendo di fare delle scelte per me, avrei solo bisogno di sapere quali sono le alternative che ho per risolvere questa impasse, quali procedimenti burocratici dovrei eventualmente avviare…”. Niente, scuote la testa con falsa desolazione come se le cose che dovesse dirmi facessero parte della riserbo che si deve al terzo segreto di Fatima. Così la mia gita a Susa si conclude mestamente nel giro di tre minuti netti con un nulla di fatto. Nella mia recensione su questa simpatica vecchina vorrei scrivere che mantenere una evidentissima svogliatezza nel fare il suo lavoro è piuttosto disdicevole, soprattutto se operi in un ambito in cui ti trovi a contatto con persone che un lavoro, invece, non ce l’hanno. Forse avrebbero più diritto loro di essere scazzati, ne convieni, befana? Ah. E poi magari fai una cosa furba: dimostra che i centri per l’impiego servono davvero a qualcosa. Ritirati e lascia il posto a qualcun altro. Così ne impieghiamo uno e mettiamo un segno positivo a sta desolazione.   

venerdì 1 agosto 2014

Panta rei.

Cambia tutto. Cambiano gli orari dei treni, che se non ti aggiorni, per tre minuti, li perdi. Cambiano le mode, vanno i pantaloni a vita alta, non vanno più, vanno di nuovo. Cambiano le stagioni ma quasi mai ad intervalli regolari. Cambiano le architetture, tipo i lampioni a boule del Palazzo di Giustizia sono inconfondibilmente anni ’90 e adesso, nessuno li metterebbe più. Cambiano i conduttori televisivi, le veline e i fidanzati delle veline. Cambiano gli allenatori e le maglie dei calciatori. Cambiano –ma potrebbero cambiare di più- i politici e i governatori. Cambiano i capi d’industria, spesso perché devono momentaneamente recarsi in galera. Mio fratello Luca dice che si può cambiare marito, religione, partito politico, anche sesso ma che la squadra del cuore –salvo rarissimi casi di disorientamento mentale- non si cambia mai. Vero. Sottoscrivo. C’è una cosa però che in modo granitico resta tale e quale a se stessa e non accenna a subire l’evolversi dei tempi. C’è una e soltanto una cosa che non cambia e non cambierà mai: la pubblicità della cedrata Tassoni.

lunedì 28 luglio 2014

Le serate Materassi.

Alzi la mano chi non ha mai dovuto partecipare a una “serata materassi”. Se non avete ancora avuto l’occasione, lasciate il vostro numero di telefono tra i commenti qui sotto, così la prossima volta che mi chiamano un sabato pomeriggio di giugno per sapere se alla sera ho voglia di chiudermi tra le pareti dell’associazione degli amici delle campane della cappella di San Pancrazio, per assistere all’ennesima presentazione del materasso miracoloso, faccio un bel trasferimento di chiamata. Sul vostro cellulare. Perché ragazzi, certe esperienze nella vita, si condividono. Mi chiedo perché ci siano rogne che capitano sempre agli stessi.

Vi racconto come funziona, per voi che magari siete ignari. Ci sono aziende che si occupano della realizzazione di prodotti, i più gettonati e rinomati sono i materassi, i quali però non hanno un canale di vendita in negozio, bensì si fanno invitare dalle varie associazioni dei paesi che hanno il compito di riunire un certo numero di coppie; queste devono ascoltare la presentazione del prodotto e, cosa auspicabile, comprarlo. In cambio si riceve un bonus in cash che, di sti tempi, fa sempre gola. Così parte la spasmodica ricerca di coniugi -o surrogati- sacrificali che abbiano voglia di pupparsi la serata per raggiungere il quorum necessario al fine di ottenere i soldi promessi dall’azienda. Numero minimo di coppie: 25. Sulla totalità c’è anche qualcuno che poi compra il prodigioso materasso in schiuma di lattice estratto da papaveracee di origine protetta o il cuscino che neutralizza i dolori cervicali o le doghe che alzi e abbassi con il telecomando come in un valzer in posizione orizzontale. Il problema però, sta proprio nel trovarle, ste coppie. Ci sono mogli che piuttosto di andare ad una di queste serate rinunciano agli alimenti; mariti che fanno i turni di pulizia nell’ufficio del capo pur di non arrivare a casa in tempo e poter evitare la sciagurata serata. Così capita che arrivati all’appuntamento, di solito nella sede dell’associazione che ha organizzato il tutto, parta il toto coppie. Ho visto abbinamenti degni degli esperimenti della Roslin Institute –dove hanno clonato la Dolly, solo per dire- io sono stata più volte abbinata a ultrasessantenni, a quindicenni e a donne. Tra omosessualità e illegalità ho pure dovuto fare da cavia per provare la comodità del materasso. Vi spiego. Per far sì che tutto il pubblico lo possa ammirare nella sua bellezza, di solito il rappresentante piazza doghe e materasso su un tavolo. Poi chiede a uno sfigato a caso del pubblico di fare da tester. A me è ovviamente capitato due volte. “Prego salga, si stenda, si accomodi, si giri, prima di lato, poi a pancia in giù, poi supina, poi prona…”. Ou.

Comunque ve lo assicuro, sti materassi sono meravigliosi. Tutte le coppie presenti arrivano ad un certo punto apicale della serata in cui farebbero carte false pur di averlo. Poi ti dicono il prezzo e ritorni a pensare che quei due assi di compensato che hai sotto la schiena la notte, siano tanto salutari.

Io, che mediamente alla mia vita non faccio mai mancare esperienze forti, ho fatto anche la serata sui depuratori d’acqua e sugli antifurti. La cosa interessante di quest’ultima è che l’Aib che l’aveva organizzata, per circuire il maggior numero di partecipanti, aveva pensato di aprire la serata con un giro pizza a 5 euro. Il tentativo di fuga subito dopo essermi riempita la pancia però, non è andato a buon fine. Fatto sta che ho dovuto assistere a una manfrina dai toni piuttosto apocalittici. Il rappresentante in questione, prima di proporci il prodotto, ci ha fatto vedere dei video in cui ladri senza scrupoli si intrufolavano di notte nelle camere dei bambini, rapinatori in passamontagna aggredivano donne inermi, furfanti a piede libero svaligiavano la casa dagli affetti più cari, e giù di dati con cifre allarmanti sui furti in appartamento. Una roba da trauma piscologico immediato. C’era gente che mentre sto qui parlava chiamava i vicini di casa per sapere se avevano visto movimenti sospetti; altri, li ho visto benissimo, si toccavano ripetutamente nei punti nevralgici contro la scalogna. Al termine della presentazione del miglior antifurto mai concepito, il rappresentante passava tra le coppie e chiedeva che tipo di casa avessero, se fossero poi così certi che fosse sicura o che mentre loro stessero lì non ci fosse già una banda armata che gli stava facendo la festa; se sapessero che non basta vivere in un appartamento al 62esimo piano, per poter stare tranquilli.

Morale della favola: io l’antifurto non l’ho comprato, in compenso la pizza che avevo tanto apprezzato mi è andata di traverso. Sono tornata a casa col fiatone. E ho pensato che solo con un materasso riempito con fieno aromatico delle valli cuneesi, avrei dormito sonni tranquilli. 

giovedì 10 luglio 2014

Se l'afa è affar mio.


“Piove di nuovo?”, “Ma non è possibile!”, “Dimmi te se deve piovere d’estate”, “Sembra autunno”, “Ah, non ci sono più le stagioni di una volta”, “Appena piove, qui, fa disastri”.


Ehi, psssst, psssst. Dico a te che stai leggendo. Vieni, avvicinati allo schermo del pc, dello smartphone, dell’ipad o di qualsiasi diavolo di aggeggio tu abbia tra le mani. Devo dirti un segreto ma sottovoce perché è una di quelle cose che è meglio non divulgare troppo. Hai mai sentito parlare di surriscaldamento globale? Shhhhhhh! Per dinci! Che ci scoprono! E’ quel fenomeno per cui la temperatura media terrestre è aumentata di 1 grado negli ultimi anni, i ghiacciai si sciolgono, gli oceani evaporano, aumentano le inondazioni e ci sono perturbazioni più anomale e violente. Lo so, lo so che è una roba da nerd di climatologia. Che il motivo per cui piove due ore e tira giù le piante e scoperchia i tombini è solo perché Marte è in congiunzione con Urano o perché al Padre eterno piace che la terra diventi una piscina dentro cui sguazzarci i piedi d’estate. Lo so. Non troviamo sempre e per forza dei motivi plausibili alle cose, suvvia. Infatti, come ben vedete al Tg non ne parlano mai. Tipo, un mesetto fa c’è stata un’inondazione terribile in un posto sperduto, nella zona cinese, se non ricordo male. Ebbene, l’annunciatrice al Tg2, aria contrita, ha preso a dire: “sono 50 le vittime di questo improvviso fenomeno ma c’è una notizia positiva: dopo due giorni i soccorritori hanno ritrovato un cagnolino rimasto sepolto dalle macerie della casa colpita in cui viveva”. Sì. Ok. Yuppidu. Sparo un minicicciolo in salotto per celebrare la morte definitiva del giornalismo, mi rammarico per quei 50 poveretti a cui sono stati riservati 4 secondi nel servizio totale e poi mi chiedo perché non si abbia mai voglia di dire la verità. 
Ve lo dico io allora perché viene giù come se non ci fosse un domani. 
Perché abbiamo tutti una macchina e spesso la usiamo per fare due isolati: da casa, alla palestra dove ci mettiamo a fare fatiche inumane correndo sul tapis-roulant; dal posto di lavoro alla banca, che dista un isolato e che è uno di quei luoghi pubblici in cui d’estate ci sono 7 gradi e devi entrare col pile se non vuoi che ti si congeli il mocciolo del naso e d’inverno 42, per cui da quest’anno all’ingresso degli uffici pubblici sarà possibile trovare delle comodissime infradito da infilare durante le ore di attesa agli sportelli. 
Piove così tanto perché provare un t-shirt nel camerino di un negozio equivale a farsi un bagno turco all’hammam, tanto si suda. E poi perché è pieno di luci, ovunque, sempre accese, sempre a palla. 
Piove così tanto perché il frigorifero è pieno, la tv accesa, il computer connesso. Perennemente. 
Piove perché ci piace la sensazione di camminare scalzi a gennaio col riscaldamento a pavimento che sembra di stare su una spiaggia tropicale. Per cui vedi gente che in bikini saltella dalla cucina al bagno per non scottarsi i piedi, tanto tiene alte le temperature. 
Poi però a volte capiamo i nostri errori: non tanto perché il clima è insostenibile ma perché il portafogli piange. E allora facciamo un investimento, merito anche degli strabilianti incentivi statali: mettiamo i pannelli solari. Mettere i pannelli solari sul tetto di casa equivale ad espiare tutte le proprie colpe: vuoi investire la tua vicina di casa che non sopporti? Vuoi rubare le Fiesta alla Coop? Lo puoi fare, perché tanto tu ormai sei così bravo ad aver messo il pannello solare che tutto ti è perdonato. Poi lo Stato a me fa riderissimo, perché ti fa la detrazione per questi interventi ma non ti dice che se ne potrebbero fare tanti e tanti ma tanti altri, gratis o poco più, e spesso più efficaci. Ma poi, Stato, devi essere sincero, ce lo devi dire perché fai il figo con sta storia del fotovoltaico; non sarà mica per ripulirti la coscienza usando il trattato il Kyoto come una salvietta umidificata di quelle che si usano per il sederino dei bimbi? E per evitare così di pagare troppe multe per non aver fatto manco l'ombra di quello che ti veniva richiesto?! Stato, lo sai che noi siamo un po’ tonterelli, ce lo devi spiegare se ci stiamo fottendo tutte le risorse, se ci stiamo rovinando con le nostre stesse mani, se dobbiamo correre ai ripari un po’ alla svelta prima che anche qui da noi arrivi un Katrina che si porti via il Colosseo, la Mole e la Torre di Pisa. Di Venezia non parliamone neanche, quelli di sti tempi se non sono invasi dall’acqua, sono sommersi dalla merda. Ma questo è un altro discorso.


Ah giusto per la cronaca, sto weekend piove di nuovo. Che fate? Pensate di ricominciare la manfrina del “si stava meglio quando si stava peggio”? O molto più banalmente, spegniamo l’aria condizionata?! Non sembra, ma fa. 

giovedì 3 luglio 2014

Altro giro, altro regalo.

Ah le giostre! Il tir dei fratelli Moglia o chi per essi che quando arrivava scaricava oltre alla pista degli autoscontri, anche un po’ di marmocchi che per un breve periodo finivano smistati nelle nostre classi. Molti di noi hanno avuto un giostraio vicino di banco per almeno un paio di settimane. Alcuni, vedendo arrivare la carovana, andavano ad aiutare a scaricare e si guadagnavano manciate di gettoni per tirarsela poi con gli amici. Gli altri invece, dovevano elemosinare un po’ di spiccioli dai genitori che però, durante la festa patronale, diventavano miracolosamente più accondiscendenti. Alle giostre si poteva addirittura andare di sera, il che era una trasgressione non indifferente. Le ragazze stavano ore davanti allo specchio per prepararsi e si conciavano come se il tipo che faceva girare gli autoscontri fosse Enzo Mirigliani. I maschi non si lavavano, come da routine, ma si sparavano litri di Malizia Uomo sotto le ascelle, mettevano il cappellino con la visiera che era diventata una specie di tubo di scolo ed erano pronti per la loro serata da leoni.
Non sono cambiate molte cose dai miei tempi. L’ho appurato l’altra sera andando alle giostre in piazza della Repubblica alla Chiusa che è ancora uno di quei posti in cui quando c’è la festa patronale, arriva il carrozzone.
Le ragazze continuano a considerare quell’evento come un rito iniziatico per poter trovare marito. Dedicano sempre alcune ore allo specchio prima di uscire ma la differenza, rispetto al passato, è che lo fanno come se il tipo che fa girare gli autoscontri sia buonanima di Riccardo Schicchi. Non so se cogliete la differenza di approccio. I maschi continuano ad avere alcuni problemi di idrofobia ma in compenso trascorrono lo stesso quantitativo di ore delle ragazze davanti allo specchio. Il cappellino c’è sempre, girato un po’ di sbieco ma con la visiera dritta, piatta, che conferisce immediatamente un’aria garula. Non avete mai notato? E' una roba che pure se se lo mettesse Renato Dulbecco correrebbe il rischio di una revoca immediata del Premio Nobel. Va beh.
I ragazzi che stanno davanti al pungiball invece, ce li avete presenti? Di default sono tamarri ma tamarri di paese, quindi un po’ barotti e non possono far nulla per ovviare a questo stile che emerge prepotentemente. Hanno spesso i pantaloni mimetici, una t-shirt attillata e il borsello a tracolla nel quale mettono i soldini che nonna gli ha dato per farsi un giro alle giostre. Quelli più magrini e sfigatini stanno in disparte e fanno il tifo per il peso massimo del loro gruppo che crede che basti pesare come una vacca di Pratobotrile per potersi cimentare in questa disciplina. Mediamente i maschi che passano le ore davanti al pungiball rimangono tamarri anche superati i 40.

C’è una cosa però che è vertiginosamente cambiata: i prezzi. Un giro di calci-in-culo, alias giostra a catene, 1.50 . Vuoi saltare sul tappeto elastico? 5 minuti, 5 €. Se invece sfidi gli amici sugli autoscontri spendi come minimo 10 euro per fare 4 giri. In compenso il giorno dopo sembri la Pimpa, solo che le macchie sul corpo sono violacee tendenti al verde. Poi aggiungici 2.50 € per calpestamento di suolo giostraio e 3 milioni e 3 (come direbbe Razzi) per poter esplicare la funzione biologica di scambio dei gas fra organismo e ambiente esterno, con assorbimento dell'ossigeno ed emissione del biossido di carbonio. Ovvero, per respirare. Il tutto, te lo dice la moglie/figlia/sorella –la differenza tra i tre ruoli è sottilissima- del capo giostre che con aria scazzata ti comunica quanto fa con lo stesso tono di voce che si adopererebbe per parlare col vicino di poltrona al Regio durante la morte di Violetta nella Traviata. Al che tu educatamente, richiedi, quanto? Visto che a un palmo da te c’è un subwoofer che sfonda il muro del suono sparando un brano di Toni H. Si ripropone la stessa scena e arrendendoti le allunghi un dieci euro; lei ti lancia tre gettoni fluo, ma è inutile rimanere con il mento che poggia sul bancone del camion adibito a cassa, aspettando del resto. Lei, masticando un Big Babol con la stessa grazia di un ruminante, ha già ripreso a limarsi le unghie fucsia, in attesa della prossima festa patronale.  

venerdì 27 giugno 2014

Apostrofi come stelle.

“Ti prego, ti prego fai un post sui tatuaggi di merda!”. E’ Simmy che me lo chiede davanti a una pizza kebab, che tra l’altro è una roba che non smaltisci manco se polverizzi la Citrosodina e te la sniffi per raggiungere esperienze digestive mai provate prima. Comunque, il discorso nasce dal fatto che proprio quel giorno ho pubblicato su Facebook la foto di un conoscente con un tatuaggio con le caratteristiche di cui sopra. Poi ho deciso di levarla, un po’ perché non tutti hanno il dono di comprendere la satira e un po’ perché di righe sulla macchina ne ho già parecchie. Però posso raccontarvela e in segreto mostrarvi la foto incriminata sottolineando il fatto che quando un’immagine viene pubblicata online senza restrizioni alla propria privacy eh beh, diventa dominio un po’ di tutti. Se poi si tratta di materiale che manda in visibilio le papille del mio gusto per l’ironia, non posso che godere di questi spunti che piovono dal cielo come manna. Torniamo a lui. Anzi, al centro delle sue spalle, roba che per lo meno si può vedere pubblicamente solo da giugno a settembre, diamogli questa attenuante. Font “Old English” e il verso del Blasco che dice “…perché la vita è un brivido che vola via, è tutto un’ equilibrio sopra la follia…”. Ecco, rileggetela. Ma non soffermatevi sui contenuti. Osservate l’ortografia, rimettetevi il grembiulino e tornate alle elementari. Sì, cari miei, l’apostrofo. Ora, io non so di chi sia la colpa se del committente che ha dato al tatuatore la frase scritta male, se il tatuatore abbia abbandonato gli studi in terza asilo, se gli sia partito il pennino in un impeto di quella follia di cui si parla nella canzone. Non lo so. Fatto sta che sto segnetto, che può essere scambiato per un neo bluastro, che se lo sbianchetti magari non si nota poi così tanto, che per molti può sembrare insignificante sarà una firma indelebile sulla pelle di costui che prima di risentirsi con me, dovrebbe appendere per le orecchie il suo scribacchino al quale non consiglierei il Cepu, no. L’esilio in Antartide però, sì.
Certo è che una frase così alla mercé di tutti è davvero impegnativa. Pensate però che c’è gente che ha scelto consapevolmente di farsi sfottere fino a che il Padreterno non deciderà di interrompergli questo supplizio. E’ come se uno decidesse di proposito di presentarsi al proprio matrimonio con i sandali e le calze o come se pubblicasse la propria foto nella cabina elettorale mentre sulla scheda scrive “Scilipoti è onesto”. Come minimo gli amici qualche domanda sui suoi disturbi psichici gliela faranno, eh che diamine.  

Per esempio, partiamo dall’Immobile nazionale che al momento non è rientrato in Italia perché si trova ancora in fuorigioco a Natal. Tant’è. Poco dopo la nascita della sua primogenita si fa tatuare il ritratto della bambina sull’avambraccio. Ciro ma come diavolo hai fatto a non accorgerti che quel tatuatore ti ha gabbato? Non vedi che il ritratto è il suo e non quello della tua adorabile figliola che suppongo sia un po’ più bella di come questo graffitaro te l’ha rappresentata?


Poi c’è lui. Che poverino ha proprio una Babele nel cervello, tant’è che le sinapsi non riescono a comunicare tra loro e producono sti effetti. I gusti sò gusti, ma pure la mia gelataia dice che limone e cioccolato insieme fanno schifo. Quindi esistono dei punti fermi nella vita, dei valori assoluti: farsi tatuare Gigi D’Alessio è illegale in tutti gli Stati del mondo. Tienine conto.


Infine abbiamo il caso umano. La ragazza che dopo quella botta fortissima presa cadendo di faccia dallo scivolo in lamiera del parco giochi, surriscaldato a 97° gradi il 13 di agosto di qualche anno fa, ha deciso di diventare Sailor Moon. Così si è fatta tatuare il carro dell’Orsa Maggiore, Minore, Andromeda, Cassiopea e Sagittario. Tutte su pochi centimetri di lembo facciale. A una coì che vuoi fare? Provare a prenderla a schiaffi così magari cade qualcuna di quelle stelle e puoi esprimere per lei il sacro santo desiderio che ogni giorno guardandosi allo specchio e battendosi il petto si chieda per lo meno il perché. 


mercoledì 18 giugno 2014

Quando la ciabatta fa tendenza.

L’altro giorno sono entrata in un negozio di abbigliamento maschile e ho pensato che per poter mettere quei vestiti lì al massimo puoi avere 21 anni, devi frequentare la palestra tre volte alla settimana, depilarti integralmente, guardare “Uomini e Donne” e avere la tintarella di Carlo Conti. Altrimenti c’è niente da fare, fai ridere. Partiamo dalle t-shirt. Sono quasi tutte trasparenti o con colori tipo rosa fluo o verde acqua. La maggior parte con scollo a V che arriva più o meno all’altezza dell’ombelico. Per cui capite le conditio sine qua non di cui sopra. 
Le giacche. Sapete no, che adesso si usano gli spezzati. Ecco. Le giacchette che però sono giuste sulle spalle, automaticamente hanno le maniche che ti arrivano al gomito e non le chiudi. Poi chiedi al commesso: ma com’è sto fatto? E’ la mia taglia ma non si chiude. E lui con lo sguardo alla Dolce&Gabbana (nel senso che somiglia a entrambi contemporaneamente), l’occhiale da hipster e l’orologio al polso delle dimensioni di un pendolo a cucù, ti dice candidamente: “Ma adesso si usano così”. Valà. 
I pantaloni hanno il risvolto e stanno appena sopra la caviglia. Quando andavo a scuola e mia mamma mi faceva il risvolto ai jeans mi sentivo una disadattata; peggio ancora quando toglieva il risvolto e mi faceva l’orlo ad acqua in casa: ho vissuto traumi infantili di prese per i fondelli non indifferenti. E non fate i furbi perché è successo ad ognuno di voi. 
Apriamo il capitolo scarpe e cominciamo dalle All Star. Intanto ammetto le mie colpe: ne ho cinque paia e non mi basterebbero mai. Andrei solo in giro così, alla faccia di ballerine e dècolletè senz'altro molto più aggraziate. Vent’anni fa le vendevano al mercato e te le tiravano dietro perché erano di gomma pura e i piedi lì dentro prendevano vita emanando lo stesso odore che senti passando in tangenziale nei pressi della Lipitalia. L’ultimo paio che ho comprato me l’hanno venduto come se fossero già sporche e con gli strappi di lato, fichissimi. Con la scusa che fossero limited edition mi hanno ficcato una randellata sui denti che ho dovuto promettere a San Crispino, patrono dei calzolai, che non ne avrei più comprate per tre anni per ammortizzare la cifra. O le Superga. C’era un banco che vendeva le scarpe vicino a quello di “Ebedeigiocattoli”, quando il mercato era ancora in piazza, che le aveva. Costavano una cosa tipo 10-15 mila lire. E durante tutto il ciclo delle elementari le ho sempre avute, un po’ bianche, un po’ blu. Adesso costano come minimo 50 euro ma l’odore che alla sera emanano è poi sempre lo stesso. E vogliamo parlare delle espadrillas? Noi le mettevamo o nelle recite della scuola per non rovinare il palchetto del teatrino oppure in vacanza al mare. In giro con gli amici mai, perché erano un po’ da sfigati. Ora le vendono color pastello per i ragazzi che vanno a comprare nei negozi di cui vi parlavo prima. E se vai a fare aperitivo in piazza Vittorio con le espadrillas, becchi un casino. Ma robe da matti. 
Dedichiamo anche un minutino al K-Way. Sì sì cari cicisbei, quello che diventava un marsupio con le strisce di elastico a righe che uscivano dalla tasca; ce lo facevano mettere quando andavamo a fare la castagnata a Madonna della Neve o in gita a Oropa dove sistematicamente pioveva. Era verde smeraldo o rosso vivo; averlo blu, più discreto, era già una benedizione per pochi. Adesso è diventato un marchio, c’hanno fatto pure il negozio in via Roma a Torino e all'aeroporto di Caselle e i prezzi variano tra i 55 ai 170 euro. 
Basta ho deciso, devo riesumare un po’ di roba dall’armadio e far vedere a sti pivelli da dove nascono le mode: dai pomeriggi uggiosi in cui dovevamo per forza andare in gita con la parrocchia. Tiè. 
E poi sono pronta a scommetterci: tra vent’anni, care fanciulle, il vostro principe azzurro verrà a prendervi sotto casa in sella a un Ciao della Piaggio, con le Crocs ai piedi e avrete pure il coraggio di dire che sarà un bonazzo da paura. 

mercoledì 11 giugno 2014

Nell'era di Linkedin.

A proposito del mio rapporto controverso con la lingua inglese vorrei fare una riflessione su quanto i mestieri di oggi si siano inglesizzati. Ma alla nausea. Se avete un profilo su Linkedin e ce lo avete in italiano – come me- sappiatelo: siete degli sfigati. Prendetemi pure come esempio. Cosa faccio nella vita? Scrivo cose e parlo con la dizione corretta a pagamento. Benissimo, chiaro. Ma volete mettere il fascino di scrivere sul proprio curriculum: Anna Olivero journalist and speaker. Come minimo ti scappa il goccino già solo nel batterlo sulla tastiera del pc (anzi, se non sei sfigato –come me- del Mac).
Scorro i profili on line ed è un pullulare di HR, che ti viene da dire: hr positivo o negativo? Invece no, tranquilli, un HR è un addetto alle risorse umane. Molto più rilassante come definizione no? Tant’è. Poi vado avanti e trovo CEO, COO, CTO che non centra nulla con l’omonimo ospedale anche se ste diciture ti fanno venire il trauma cranico. Questi tre sostanzialmente sono i capi, i fondatori dell’azienda per la quale lavorano. Sì ma la cosa che mi fa svalvolare è che trovi gente di vent’anni che ha fondato l’associazione degli amici del calcio a 8 e organizza eventi sportivi per rinnegati dal mondo calcistico, che si definisce Ceo and foundator. Amico mio sì, fa figo. Magari fa anche un po’ curriculum perché per lo meno ti sei inventato come occupare il tuo triste e desolato tempo libero causato dalla scelta di aver proseguito gli studi universitari. Ma anche se non te la tiri va bene uguale. Ho beccato un tot di gente che conosco che si è messa a fare il chief. Ho pensato, toh guarda, s’è buttato nel campo culinario. Poi con dispiacere ho dovuto comprendere che significava che era diventato il capetto della sua azienduccia. Prestigioso, certo, ma al contempo banale.
I migliori sono quelli che lavorano nelle agenzie di comunicazione. Li adoro. Magari hanno uno stanzino tre metri per tre dove impaginano volantini per la parrocchia ma si sono fatti la foto dello staff e ognuno ha il suo ruolo, inglesizzato, ovvio. Poi ci sono quelli già un po’ più su di tono, anche bravi, che sognano di avere un sito internet pieno di codici e sigle che manco Google translate, ancor prima di aver pagato i propri dipendenti.
Mi sono imbattuta un giorno nel leggere le mansioni di un tizio che fa il data mining specialist, che in sostanza è un cervellone informatico che analizza flussi di dati. Un nerd senza possibilità di redenzione, insomma. Ebbene, leggete con me in cosa consistono le sue mansioni in azienda: “Disegna le migliori soluzioni nel binomio digital goals e IT development. E' digital architect e coordina i team di backend development. Fa sì che le leve del progress marketing thinking siano presenti in tutti i tools sviluppati per garantirne le migliori prestazioni e redemption”. Nel dubbio: a’ sorreta.  Ma vi rendete conto? Sapete che il correttore di Word è talmente impazzito che di queste tre righe mi ha sottolineato parole in rosso a caso, anche corrette in italiano?
Magari sono io che sono troppo purista e che non comprendo che certi linguaggi, importati con l’avvento della tecnologia made in Usa, non si possano italianizzare. Capisco pure che se si lavora per un brand –anzi- per un marchio internazionale, la seconda lingua è fondamentale anche nel definire il proprio ruolo professionale ma diversamente è proprio solo uno sfoggio di cultura, se mi permettete, un po’ spocchioso. Da questo punto di vista adoro gli spagnoli. Laddove gli è stato possibile hanno mantenuto la loro lingua. Il mouse del computer, per dire, si chiama ratòn. Il football loro lo scrivono e lo pronunciano fùtbol, l’hot dog è un perrito caliente, dove perro significa cane; il guard rail è il quita miedo, cioè il togli paura, il phon è il secador e i jeans (manco la parola jeans traducono!) sono i vaqueros perché erano i pantaloni usati dai mandriani. Meravigliosi.

giovedì 5 giugno 2014

Peter Fassino.

Bond. James Bond. Fassino. Piero Fassino. Sì ok, non che il paragone regga tantissimo. Ma James Bond non rideva mai. E manco Piero. 007 aveva sempre il completo coordinato in giacca e cravatta. Come credete che si vesta al mattino Fassino per andare a Palazzo di Città a fare casini col bilancio? Uguale! Mi direte che James Bond però aveva un fascino altisonante e una schiera di donne che facevano la fila per poter essere le sue amanti. Vi confido un segreto. Voci di popolo dicono che il sex appeal di Piero non abbia nulla da invidiare a quello del famoso agente segreto. Anche se sotto gli occhi ha due borse con dentro la spesa settimanale di una famiglia di 5? Anche se quando lo vedi da lontano sembra che sia un copri abiti dotato di mobilità? Anche se ha il naso direttamente proporzionale al suo metro e 92 per rimanere in equilibrio? Sì, cari miei, pare proprio sia così la faccenda. Bond nasce in Scozia e Fassino ad Avigliana. Bond raggiunge risultati eccellenti in ambito sportivo; Fassino milita nelle giovanili della Juventus, mantenendo quello stile tipico della gobba, che sfoggia non appena gli nominano la parola “Filadelfia”, cosa che di solito lo porta a reazioni convulse e possedute. Si dice che quando Fassino promise i soldi per il rifacimento dello stadio, scese le scale dei palazzi comunali come la bambina dell’Esorcista. James Bond parla perfettamente francese, tedesco e anche inglese. Francese e tedesco non lo so. Ma l’inglese lo parla pure Piero. Beccatevi questa e poi non ditemi che sparo scemenze a vanvera.




Ora, levatevi quel sorrisino dalla faccia. Perché io, che ho studiato inglese solo al liceo con la professoressa -stimabilissima- che purtroppo per lei non aveva avuto il dono del fonema R, che mi ha fatto uscire dalle orecchie i Daffodils di William Wordswhort (sì, sì, lo so che state provando a pronunciarlo con la R di cui sopra, malefici!) e che non è riuscita -per mia negligenza- a farmi appassionare a questa lingua, davanti a una telecamera non mi ci metterei mai a parlare in inglese. Neanche con il copione scritto. Piero invece, del quale non condivido mai tuttissime le scelte che fa, si è però messo in gioco. Dice che Torino è “a rial factori taun” come lo direbbe Pino Milenr, di Telecupole. Però si sbatte e ci mette la faccia. Parpigna un po’ con gli occhi per farsi forza e giù di british english in piemontesis way.  Adesso Piero, devi fare un video mentre ti accendi una Lucky Strike e con aria affascinante ci dici che imparare l’inglese non è mai troppo tardi anche se la nostra sola lingua di riferimento fosse il patois. 

giovedì 29 maggio 2014

Scheda burla.



Questa volta è colpa di Daniela e Samanta, due mie amiche che sapendomi ai seggi mi hanno chiesto se non fossi riuscita a trovare qualche spunto. La risposta è stata: “Euh se ne ho trovati!”. Però raccontarvi tutto significherebbe costringervi davanti allo schermo per lo stesso numero di ore che ci abbiamo impiegato noi a spogliare tutte quelle schede moltiplicate per tre. E non è il caso. Ce ne sarebbe da dire sulla tipologia di elettori, così come sui rappresentanti di lista e sui candidati. Ma limitiamoci ad analizzare insieme alcune delle schede nulle che sono state aperte nel mio seggio di Almese. Ecco la classifica: al decimo posto si piazza un certo elettore che su tutte e tre le schede elettorali ha scritto ripetutamente e a grandi lettere “Mongrano”. Ho anche cercato su Wikipedia se sto Mongrano fosse un candidato delle passate legislature o se fosse una località turistica che il caro cittadino suggeriva a noi scrutatori con l’aria sconvolta che abbiamo coerentemente mantenuto dalle 7 del mattino di domenica alle 3 di martedì notte. Ma non ho trovato risposte. Ho deciso che Mongrano sia un amore di gioventù del cittadino in questione, che appena si trova con una penna in mano e un’occasione proibita, lo rievoca con passione. Al nono posto abbiamo l’elettore (in realtà sarebbe una femmina, ma per eleganza e per giuramento di segretezza facciamo finta che sia un uomo) che accanto al simbolo da lui prescelto ha fatto che firmarsi, così, come se fosse una cambiale. Ma è colpa della burocrazia se questo povero signore quasi novantenne si è confuso; con tutte le carte che avrà già dovuto firmare in vita sua, firma più, firma meno avrà fatto che siglare anche sti papiri. Ottavo posto al commento “Andate a lavorare deficienti”, che per altro spero fosse riferito ai politici di questa tornata perché io quei tre giorni ai seggi me li ero proprio scelti come lavoro momentaneo, indi per cui dovrei spiegare a questo mio compaesano che ha preso un abbaglio. Però nota di merito per aver scritto “deficienti” in modo corretto; ho controllato, giuro. Quasi pari al precedente il “vergogna” inciso sulla scheda impugnando la matita come un punteruolo di quelli che ci facevano usare le suore all’asilo per ripassare i contorni delle figure.  Diciamo che con uno così accanito non avrei voluto condividere la cabina elettorale; per fortuna che il voto è segreto e personale. Sesto posto per il revival, l’amarcord, il ritorno, la vendetta, chiamatelo come volete: colui che si prende la briga di scrivere il nome del duce. Un bel Benito Mussolini con tanto di cura nell’esecuzione della B e della M. Un esercizio di bella calligrafia, come proponeva Alberto Manzi quando insegnava l’italiano alla tv ma il cui contenuto lascia un solo commento unanime e sconsolato: “Eh va beh”. Al quinto posto abbiamo invece un elettore simpatico che ci ha disegnato degli smile grandi come quelle lenzuola sulle quali immagino abbiate votato anche voi. Beh, ci ha donato un sorriso che verso le 2 della notte di domenica ci ha confortato. Saliamo di categoria e abbiamo l’elettore che di fianco al simbolo di “Forza Italia Berlusconi” ha dato la preferenza a Renzi. Che dici: o sto qui non ha capito un tubo oppure ha tentato in modo sottile di fare il veggente. Al quarto posto c’erano le schede in cui l’elettore ha dimostrato che per il governo dell’Europa e della Regione desiderava essere rappresentato non da un candidato qualunque ma addirittura dall’Uomo Ragno. Tra politici che si attaccano alla poltrona come zecche, grilli e mosche, avremmo così completato quasi tutto l’insettario. Secondo posto, “Gesù salva”. Il che considerando il curriculum e il modus vivendi di quelli che si definiscono attuali salvatori della patria, preferisco effettivamente mettermi il cuore in pace e attendere il ritorno del Messia. Al primo posto vince la classifica delle elezioni 2014 la fanciulla (beh, noi abbiamo voluto credere che fosse tale e non un energumeno di 1.90 per 80 kg con la barba e i peli sulle gambe) che ha scritto “Marco Alliano sei un figo”, col cuore e sulla scheda delle regionali. Ora, per chi non lo sapesse, Marco Alliano è il macellaio di Rivera e sicuramente una dedica così non l’aveva ricevuta mai. L’ultimo chapeau fuori classifica ma questa volta senza alcuna ironia, va alla votante –suppongo- più anziana di tutta Almese; la signora che alla bellezza di 100 anni e mezzo suonati si è presentata al seggio con la sua scheda elettorale. Ditemi voi se non è questo un esempio straordinario di civismo di una donna che nella sua vita ha visto evoluzioni e implosioni pindariche della sua patria. Ditemi voi se questo non è amore per il nostro Paese. Permettetemi di dire, un amore, nonostante tutto.

martedì 20 maggio 2014

18 maggio 1984

I miei 30 anni sono cominciati con mia madre che mi avvertiva prontamente che mi avrebbe organizzato la festa a sorpresa alla quale avrei dovuto partecipare fingendo un certo stupore. I miei 30 anni sono cominciati scartando il 70% degli annunci di lavoro per superati limiti d’età dettati dal fantomatico contratto di apprendistato. E se già prima non è che ne trovassi facilmente, figuratevi ora. I miei 30 anni sono cominciati con un ciclo di terapie per aggiustare quel dito che sbattei contro la gamba del letto (ve lo ricordate?): a 20 si sarebbe messo a posto da solo. I miei 30 anni sono cominciati in un bunker antiaereo sotto le Nuove di Torino: a mezzanotte ero a meno 18 metri con l’umidità che mi entrava nelle ossa; poi però da quelle carceri sono uscita. Quindi, forse, potremmo anche interpretarla come bene augurante metafora della vita. I miei 30 anni sono cominciati con Spritz e Mojito ma non abbastanza. I miei 30 anni sono cominciati andando dalla parrucchiera sperando di tirarmi al lucido per la festa con il solo risultato di aver rimediato una acconciatura da cavia tibetana. I miei 30 anni sono cominciati di domenica e io odio le domeniche. Ho tentato però, di dare inizio ai miei 30 anni con le persone che penso mi vogliano bene. Non tutte c’erano ma, adesso che ho solo 30 anni, non è ancora il momento di trarre conclusioni. Ho cominciato i miei 30 anni credendo di essermi fumata i precedenti dieci. Ma credo che anche a 40, penserò la stessa cosa. I miei 30 anni sono cominciati senza alcun progetto, poche speranze e molto smarrimento. Ma forse in questa barca, non sono da sola. 

mercoledì 14 maggio 2014

Di obesità, virtù.

Perchè lo fai, disperata ragazza mia? Perché fai di tutto per sembrare un cetaceo spiaggiato? Perché? Te lo giuro, ho fatto pure un sondaggio, sperando di sviare l’attenzione del genere umano da quei due sacchi da thai boxe che c’hai al posto delle gambe. Ma niente: tutti quanti si chiedono il perché. E allora sai cosa facciamo adesso? Ti trovi un posticino comodo, ti siedi e apri ben bene le orecchie, perché te lo dico solo più una volta: se pesi 98 kg, i leggings non li puoi mettere. Mai. Per sempre. In nessuna circostanza. Neanche da sola, se no ti riprende il vizio.  E non tirare fuori la scusa che il nero sfina, perché pure il Titanic era nero ma era comunque largo 28 e lungo 269 metri. Ed enorme, fidati. Ora, se non vuoi affondare anche tu nell’abisso dell’ignominia sentimi bene. Sei cicciottella? Per costituzione (dicesi sfiga, comunque) o per scelta? Perfetto. Non c’è nulla di male, ma nulla per davvero se ti piaci così. Perché se non ti piaci e ti ostini a vestirti come si vestono quelle magre e beh, cara mia, allora c’hai il cervello di una cocorita in prognosi riservata. Se il tuo giro coscia ha il diametro di una sequoia non te li puoi mettere i pantaloni stretti ma manco la minigonna! Semplicemente perché rischi di farti una figuraccia. Perché invece non ti metti quei bei pantaloni leggeri e ampi o quelle gonne lunghe che per lo meno ti danno una dimensione uniforme, un po’ da Minions di “Cattivissimo me”, ma comunque uniforme? Se ti avvolgi e tiri e stringi fai la fine di un culatello, buonissimo, per carità. Ma se si chiama culatello…un motivo ci sarà. Ascolta, trova il tuo punto forte e mira a quello. Magari hai degli occhi intensissimi o dei capelli da pubblicità della Pantene. Non è detto che debbano scritturarti per Intimissimi; pure io c’ho già messo una pietra sopra superato il limite di crescita “toracica”, dato coi 21 anni di età, che sarà mai, diamine.


Sentite qua. Il mese scorso ho lavorato in un centro di telefonia per proporre un’offerta. Sostanzialmente fermavo la gente che andava al supermercato e tentavo di estorcere due minuti di attenzione. Devo dire, la gran parte delle persone, gentili. Poi però visto che stavo 8 ore di fila per 6 giorni a vedere razze umane passarmi sotto gli occhi ho cominciato a fare degli esperimenti antropologici. E sapete cosa ne è venuto fuori? Che le femmine antipatiche avevano tutte i pantaloni stretti e un culo che faceva provincia. Lo so perché se mi rispondevano male o mi ignoravano, le facevo passare e poi buttavo l’occhio. E lascia respirare sti due poveri cordon bleu –pensavo- che, volente o nolente, madre natura ti ha appioppato. E’ ovvio che se vuoi tentare di essere slim e non lo sei, quando vedi intorno a te persone conformate diventi rancoroso. Quindi lascia perdere. Ne gioverai in umore e sex appeal. Ah, un’ultima cosa. E non transigo. Prendi immediatamente tutto ciò che nel tuo armadio assomiglia anche solo vagamente al leopardato. Mettilo in un secchio, cospargilo di alcool e dagli fuoco. Perché con quella roba lì addosso, te lo assicuro, non fai questa figura…


  
Ma questa...



martedì 13 maggio 2014

Chi sa ridere di se stesso, non smetterà mai di divertirsi.

Ci sono post che metto e tolgo per scrupolo. Per timore che leggendoli ci sia chi possa risentirsi e offendersi. Poi però penso che qualsiasi cosa io scriva è come una creatura a cui ho dato vita. E relegarla al silenzio mi pare immorale. Quando scrivo, tra il serio e il faceto, riesco a dire cosa penso. Spesso mi contengo e spesso ingigantisco perché le iperbole mi hanno sempre fatto sorridere. Può capitare che io sia tagliente ma le intenzioni non sono mai grame. Se dovessi risultare maleducata, però, quello sì, fatemelo notare. Il mio blog so che può arrivare ovunque, è il potere del web. Ma mi auguro sempre che nessuno abbia a prendersela male: questo è uno spazio che dedico alla condivisione dei miei pensieri che, come avrete notato, sono spesso canzonatori. Riesco a scriverli e non sempre a dirli a tu per tu, vero. E’ un limite. Ma forse anche una dote. Tant’è. Se siete qui, sappiate che non tutto va preso sul serio. Ma su tutto ci si può fare una risata.  

Per mille lire Al-mese.

Voglio bene a tutti. A quelli che non so da quale sarcofago siano stati riesumati fino a chi si è iscritto su Facebook tre giorni fa e si sta facendo amici anche i parenti neozelandesi del vicino di casa, purchè sia almesino. Voglio bene a chi si sbatte e a chi non sa dove sbattere la testa. Ne voglio a quelli che hanno idee furbe e a quelli che credono di averle, ma... Voglio un pò meno bene a chi sbraita e a chi fa demagogia, ma ci siete anche voi e quindi proviamo a convivere. Sono vicina a chi ci mette entusiasmo: sia che creda che governare sia" farsi un'esperienza", sia che sappia che è una rogna senza precedenti. Voglio bene a chi la vive pensando di organizzare le festicciole per gli adolescenti e voglio bene a chi non sa da che parte si guardi un Piano Regolatore o come si stili un bilancio. Voglio bene a chi bazzica da vent'anni perchè non mi entra in testa come diavolo possiate ancora aver voglia. Voglio bene a chi non ha mai partecipato a un consiglio comunale pur volendone far parte. Voglio bene a chi ci crede e a chi fa solo finta perchè tanto ormai lo sa come andrà a finire. Voglio bene a chi ha voglia e a chi è lì solo per far numero. Voglio bene a chi ha ricominciato ad andare a messa -male di certo non fa- e a chi ha preso a frequentare i bar. Voglio bene a chi mi fa sorridere e a chi mi lascia basita. Voglio bene a tutti voi, candidati delle tre liste almesine. Vi voglio bene perchè probabilmente passeremo delle serate intense, tirando tardi come quando vado a far la giovane a San Salvario. Con molto meno divertimento però. Ma molto. Vi voglio bene perchè siamo più o meno tutti nella stessa barca: sono entrambe, la mia e la vostra, due forme di volontariato. Anche se io questo mestiere lo vorrei fare di professione. E anche se tra di voi c'è chi, l'amministratore, lo fa di professione. Vi voglio bene perchè sicuramente per un lustro cammineremo insieme, talvolta. Spesso saremo in sintonia, altre volte no. Ma vi prometto che farò di tutto per raccontare le cose così come sono e non influenzate dal mio parere personale. Ve lo sto già dimostrando. Parlate tutti di trasparenza. Allora lo faccio pure io. Sapete quanto prendo per venire alle vostre conferenze stampa o ai consigli comunali che durano in media dall'ora e mezza alle tre? 5 euro. Se va bene, e avete detto tante cose, di modo che io possa fare un pezzo più lungo, ne prendo 10.  Poi molto spesso mi sbagliano i titoli e invertono la cronaca di Almese con quella di Salbertand, ma questo è un altro discorso, voi non centrate nulla. Centrate però se durante questa vostra campagna elettorale, nella quale avete capito che si comunica anche sul web, vedo che la rassegna stampa riporta sempre e solo i pezzi della concorrenza. Ecco. Allora lì mi girano. Non perchè ambisca all'autoincensamento alle spalle della vostra visibilità. Sinceramente? Chissenefrega. No, mi girano perchè ve l'ho detto che vi voglio bene. E, con tutto il rispetto, siete voi che avete bisogno dei giornalisti.

La carità ai tempi delle elezioni.

Oggi mi è capitato di finire malauguratamente su un paio di pagine personali di alcuni candidati alle prossime elezioni regionali del 25 maggio. E una cosa mi ha colpito. Una scritta in homepage: “Per sostenermi, ecco il mio Iban”. Tu sei un genio! Sì, proprio tu, con la faccia da Peppa Pig e la boccuccia a canotto. Tu che hai vent’anni e ne dimostri cinquantaquattro. Tu che probabilmente fai la doccia con la cravatta e il Rolex al polso; hai alle spalle sei mesi di carriera politica e hai già cambiato due partiti. Tu, che, mi spiace, ma hai la faccia da pungiball. Tu che se papà ha abbastanza amichetti, tra non molto comincerai a guadagnare all’incirca 9000 euro al mese. E comunque pure se ti andasse male, la Mini Cooper che hai sotto il culo, significa che poi tanto povero non sei. Tu che chiedi dei soldi per sostenerti…ma accipigna: come se noi, che siamo lo Stato, non lo facessimo già da sempre! Ma poi che diamine c’è da sostenere? Le foto in doppiopetto con la faccia incredula? I volantini? I salatini? Devi pagarti i pacchi di patatine per gli amici che vengono ai tuoi dibattiti? Non ti va di offrirgli la Cola del Lidl e vuoi quella di marca? Ma nini, cribbio. Ti pare il momento di chiedere dei soldi ai tuoi eventuali elettori? E’ solo che non riesco a biasimarti del tutto. Comunque tu, che mi infondi la stessa sicurezza che avrei ad andare a pescare su una barca a remi insieme a Schettino, tu. Sei un genio, ragazzo mio. E se lo può fare uno come te, lo faccio pure io. Possiamo mettere in comune la stessa faccia di “tolla”. L’unica cosa è che io tra un mese sarò ancora nella stessa “bagna” di adesso. Però grazie, mi hai dato una grande idea!
Per sostenere la mia permanenza giù dal tram, il mio codice Iban è: IT52Y0200830030000040396673.

Non faccio grandi cose, cerco solo di far ridere. Ah, anche tu?...  

martedì 6 maggio 2014

Lingue(tte) del Tg Piemonte.

Ieri leggo un messaggio di Giacomino: “Anna per il tuo blog proverei ad inserire qualche video dei meteorologi dell’Arpa che fanno il servizio sul tg3 regionale del mattino. Sono l’essenza della presentazione televisiva”. Ma sì ma Jack (americanizzazione di Giacomo per gli amici) ma sei sempre il solito polemico, che sarà mai, diamine, devono leggere le temperature, dire se fa sole o se piove, chiunque sarebbe in grado di farlo…Invece. Invece accetto il consiglio e mi guardo in streaming la puntata odierna. E al minuto 00.54 capisco che Jack è davvero un amico: ho lo spunto per il post. Giusto per sapere di cosa parlo, date un’occhiata qui. Poi cominciamo.

http://www.tgr.rai.it/dl/tgr/regioni/PublishingBlock-8cbbd8fc-3365-4785-a7ec-950b73541553.html?idVideo=ContentItem-a99ff684-8d3a-4c3f-b618-6c765d78935c&idArchivio=Buongiorno

Partiamo dal presupposto che non so quale sia lo share di Buongiorno Piemonte. Ma azzardo un pensiero. Probabilmente lo guardano Giacomino, prima di aprire il negozio d’agraria; mio cognato prima di mettere la divisa da civich e andare a far multe alle Vallette; il portiere notturno di Mirafiori; 5 o 6 vedove della Crocetta e una manciata di pumè (in lingua corrente, single un po’ attempati) sparsi tra le periferie della Granda e la prima cintura di Novara. Detto questo però, non è che dobbiamo buttare in tele il primo che capita. Ma lo avete sentito pour’om? Che poi mi fa quasi tenerezza: quello starà con la testa all’insù tutto il giorno per studiare lo spostamento delle nuvole e si infognerà di tabelle excel per vedere quanti millilitri di pioggia scendono in media su Porta Pila, è ovvio che non gliene fregherà nulla di parlare al tiggì. Quindi oggi ho deciso di perdonarlo. Resta il fatto che lancio un appello all’Arpa: vengo io alle 7 del mattino a leggere il meteo, gratis, lo giuro pubblicamente. Mi farebbe piacere, mi sentirei meno inutile su questa terra all’alba dei 30 anni e forse si capirebbe qualcosa senza dovermi far leggere il labiale per interpretare cosa dico.

Voglio però parlare dei giornalisti Rai. Che poi ce ne sarebbe da dire per quelli di Mediaset, di La7, di Rtl, e di Radio Maria. Ma il dibattito sarebbe troppo ampio. Mi limito a parlare dei giornalisti del Tg3 Piemonte.
Ognuno mediamente pizzica almeno tre o quattro lettere. Ma non la K, o la Y o al limite la Z. No. Di solito si tratta di fonemi fondamentali della lingua italiana. Taluni hanno toni bitonali, altri raggiungono acuti due posizioni sopra il rigo musicale. E ciò non è una discriminante valida per distinguere se si tratti di un uomo o di una donna a parlare. Nel dubbio leggi il nome di chi ha fatto il servizio e ti rassegni all’idea di non aver indovinato neanche sta volta. Non parliamo poi dell’accento. Vero che siamo tra di noi. Che magari fa pure piacere sentire un po’ di E lunghe e O così aperte che sembrano A. Ma dinci! Se gradisco un po’ di sano barottismo vado al concerto di Bruno Mauro e la band, oppure al tavolo delle briscolate alla bocciofila. Niente da fare, la radio e la tivù che selezionavano solo voci impeccabili non esistono più. Non voglio mica fare del purismo; la varietà degli accenti è anche vivace ed estremamente verace. Ma uno che tratti la lingua con garbo, non so voi, ma a me inchioda. Cioè starei a sentire anche l’ennesimo servizio sulle piste da sci di Limone Piemonte, senza sentirle pronunciare una cosa come “Limuone Piemuonte”. Mi interesserei delle zanzare killer che si riproducono nelle risaie di Vercelli senza sentire l’eco delle E per i due minuti a seguire.

Sah, basta fare polemica. Tanto sti giornalisti qui, anche se non parlano come un margaro di Sanpeyre, o ci sputano fuori la linguetta tra un avverbio e una preposizione o hanno un senso estetico di dubbio gusto, un posto al sole ce l'hanno. Vero che conta la bravura, verissimo, sempre stata d’accordo. Vero anche che con la crisi si taglia un po’ su tutto. Ma siete proprio una banda di balenghi se non date una mano alla Maura Fassio a capire che il tailleur rosa confetto con le spalline l'hanno tolto dal mercato nel '92 e se non aiutate la Milena Boccadoro a trovare finalmente la tinta giusta per i capelli. Milena: quelle della pubblicità che ti dicono che tu vali e poi ti fanno fare il colore “pis caval”, ti stanno prendendo in giro. Sei una donna d’assalto, non farti turlupinare. Poi c'è Nino Battaglia che le notizie non ce le legge: ce le mima con le mani come quando si gioca a Taboo. 

Con questo abbiamo concluso, passiamo la linea al meteo. Previsioni su Torino per la tarda serata di oggi: a stisa turna.

venerdì 18 aprile 2014

Telefono senza fili.

Io sono responsabile di ciò che dico. Non di quello che gli altri capiscono. E poi, se posso aggiungere una cosa....ah no, lasciamo perdere. Altrimenti siamo di nuovo da capo. Au revoir.

mercoledì 9 aprile 2014

Se Dio ti vedesse e Stalin pure?

Come in molti paesi della zona anche ad Almese ci si sta preparando alle votazioni del 25 maggio. Dovremo cambiare sindaco e giunta e quel che è certo è che ci sarà sicuramente un nome nuovo alla guida del paese. Quindi, oggi, vi racconterò come si comporta l’almesino doc, nel periodo preelettorale. Fate partire mentalmente la musica di Quark in sottofondo perché vi parlo di una specie dalle caratteristiche assolutamente rare e inusuali. Ce l’avete in mente? Molto bene. Cominciamo. L’almesino doc vive in un contesto piuttosto rurale ma nonostante ciò, rispetto agli altri ominidi dei paesi limitrofi, lui è un po’ più borghese. Potremmo dire che Almese sta alla Valle di Susa come Borgo Crimea sta a Torino.

L’almesino doc è un esemplare fatto e finito e marcabollato di “piemontese falso e cortese”. Cura i suoi interessi e si dedica allo sputtanamento altrui con fine classe e circonvenzione. Preferisce mantenere buoni rapporti con tutti anche con quelli di cui ha una bambolina voodoo che infilza prepotentemente la sera, nel chiuso della sua cameretta. L’almesino doc sorride in modo subdolo e batte pacche sulle spalle per poi sciacquarsele subito dopo. Per farla breve, se sei di Almese, non ti esponi. Mai. Neanche con tua madre, neanche con tua moglie.

Penserete che ne stia venendo fuori un ritratto orribile? Ma no, l’almesino si sbatte pure e si dà da fare. Che poi non sconfini dal suo orticello neanche in caso di eclissi totale permanente, invasione di cavallette e carestia fulminante, questo è un altro paio di maniche. E’ che quelle di cui sopra sono caratteristiche essenziali per questa analisi specificatamente preelettorale; quindi non me ne vogliate, sono almesina doc pure io, con tratti sanguigni riveresi, insomma: roba che non auguro a nessuno.

Dovete sapere che, mediamente, l’almesino doc, non si candida. O meglio, l’almesino doc che avrebbe anche tutte le carte in regola per essere uno stimato cittadino, colto, concreto e onesto, preferisce girare alla larga e non prendersi rogne che in qualche modo lo rendano troppo pubblico. Non che altri almesini che negli anni si sono dati disponibili non fossero colti, concreti e onesti. E’ solo che magari avevano uno spiccato senso del brivido ed erano immuni alle dicerie o agli sguardi sdegnosi. Perché se ti candidi e poi perdi, da noi, funziona che la gente, per un po’, fin che non si è dimenticata che ci avevi provato, ti disprezza. Chissà poi perché? Uno ha già la sfiga di essersi messo in gioco e di non aver preso manco i voti della cognata o dello zio, deve pure sentirsi emarginato. Ma robe da matti.

Oltre tutto non si sa mai che diamine voti un almesino. Alle politiche vince il centro destra e alle comunali un sindaco comunista. Sei convinto che uno c’abbia la faccia da Pd e invece c’ha la tessera della Lega. Ecco, ad Almese vige una spessissima coltre di dubbio su cosa pensi politicamente la gente. Facciamo un esempio. A Sestriere sapete cosa votano? Ma ovvio. A Vaie o a San Giorio, lo sapete? Assolutamente sì. Tu vai in questi posti e sai perfettamente quali sono le famiglie di sinistra, di destra o dei catto-comunisti. Ad Almese no. Se potessi essere un mosca bianca (e anche un po’ anticostituzionale) entrerei nelle cabine elettorali e sono certa che avrei delle sorprese inimmaginabili.


Beh, questo voleva solo essere un panegirico per rassicurare gli attuali candidati. Chi vi dice che vi voterà, probabilmente il 25 maggio sarà a fare pic-nic a Bergeggi. Chi vi dice “bravo, servono persone motivate che si impegnino”, quel giorno disegnerà donnine nude sulla scheda elettorale (ah, lo dico con cognizione di causa: avendo fatto la scrutatrice se ne vedono di ogni). Se avete voglia di candidarvi, fatelo con la stessa consapevolezza con cui si mollano i pedali della bici giù per una discesa di montagna. E se poi ci saranno dei denti rotti, non vi preoccupate: qualche almesino doc vi dirà che state così bene con quei due buchi al posto degli incisivi…

martedì 1 aprile 2014

Non di solo selfie.

Si dice selfie solo perché fa figo. Anche se non è nulla di diverso da un autoscatto. Ma si sa, il termine autoctono rischia di essere così banale e poco accattivante... Che poi uno, mediamente, si faccia un selfie con sullo sfondo le piastrelle del bagno, è un altro discorso. Quello denota proprio la “solitudine del cesso”. Trattasi di uno status che una volta accompagnava i lettori di Topolino e della Gazzetta che sulla tazza si procuravano una anestesia temporanea che colpiva le natiche. Ora invece è il luogo deputato alla ricerca di conferme del proprio essere esteriore. Ci sono cascata pure io eh. Sei lì che ti lavi i denti e tra uno sputo e l’altro ti guardi allo specchio e pensi, “toh, guarda oggi, non sono verde kiwi come al solito; non ho la pelle a solchi geometrici come i canestrelli e neppure i capelli di una cavia tibetana. Spetta che mi faccio una foto”. E magari fuori c’è già chi si è incatenato alla porta e ha preso una saldatrice per scardinare la serratura e riuscire finalmente ad entrare per conquistarsi il suo diritto quotidiano alla libertà. Intanto tu dentro hai già fatto un book pari a quello di un viaggio safari e stai scegliendo la foto con l’occhio più vispo e lo sguardo un po’ meno ebete di quello che hai di solito. Perché ovvio: quella foto, ne sei certo, non rimarrà solo un tuo diletto. Quella foto, sì, proprio lei, quella in cui traspare quello che tu credi sia il massimo del sex appeal (in realtà la sensazione che si ha nel guardarti è simile a quella che si ha contemplando una tapparella o uno swiffer) è stata fatta per essere c-o-n-d-i-v-i-s-a. Indi per cui merita spendere ancora qualche minuto per darle una aggiustatina con qualche filtro magico made by Instagram o Retrica. Nel frattempo chi continua ad aspettare che tu esca dal bagno ha già ripetuto ad alta voce, per quattro volte e in ordine alfabetico tutti gli improperi che conosceva. Ti ha augurato la peste, il tifo, la malaria e l’herpes. E sta disperatamente cercando una scusa per suonare al vicino chiedendo asilo. Ecco. Avete mai notato? Nelle foto di Instagram sono tutte gnocche. Ma tutte! Quelle basse sembrano alte, quelle strabiche sembra abbiano occhi da cerbiatto, quelle grasse acquisiscono forme più dimensionate e quelle antipatiche paiono quasi graziose. Scegli il filtro migliore e parte il tasto condivisione. Mediamente quell’immagine diventa foto profilo di Facebook, Twitter, Whatsapp, Linkedin, Google+ e pure Badoo e Meetic, diciamocelo. Te la ritrovi ovunque. Piuttosto ti scartavetreresti il bulbo oculare pur di non vedertela propinata per l’ennesima volta sotto il naso, ma niente. Sarà sempre lì, fin che non ne arriverà un’altra in tutto e per tutto identica a questa, fatta e ritoccata come nel siparietto di cui sopra. Pubblicata la foto parte la manfrina di cui le ragazze sono campionesse olimpiche: il complimento interessato. Della serie: se oggi ti dico quanto stai bene in questa foto, domani tu dirai lo stesso della mia. E così si innesca un meccanismo diabolico per cui questi selfie mediamente hanno 387 like e 55 commenti. Meno della metà della metà, sono sinceri. Ma meno eh. Partono cuori e amore a profusione, si gode di quei momenti di gloria che ci si è procurati e con falsa modestia ci si congratula a vicenda attribuendo meriti alla sola Madre Natura. Ma ci si dimentica sempre, in modo molto ingrato e ingiusto, di quel poveretto là, fuori dal bagno che, maledicendovi, vorrebbe lasciare anche lui il suo I don’t like!

lunedì 31 marzo 2014

Terremotidigitali.

Mi autodenuncio. Ho sentito il terremoto poco fa. Non con il suo classico boato, ma con un ondeggiamento di arredamenti nettissimo. E la prima cosa che ho fatto è stata scriverlo su facebook. Non mi sono ficcata sotto uno stipite, non mi sono rintanata sotto la scrivania. No. L'ho detto al web. Terremoto mi colga e mi porti via, maledetta me digitalizzata!

mercoledì 19 marzo 2014

Aggratis.

Riflessione breve e buoni propositi: devo smetterla di pensare che la mia professione non sia remunerabile. Devo smetterla di fare voli pindarici e giri di parole per chiedere, molto banalmente, ma anche in modo assolutamente doveroso: per questo lavoro quanto mi P-A-G-A-T-E? Lasciamo stare i contratti, per carità divina. Ne ho uno in stand by da un mese perché si sono "dimenticati" di scrivere i miei compensi; ma suvvia, son quisquilie che possono capitare: sono inezie! Chi fa i contratti è già così oberato, poveretto, che può anche capitare che si dimentichi un dettagliuccio simile. Leggasi definizione alla voce: furbetti. Invece è 10 anni che faccio sto mestiere ufficialmente e mi succede ancora di vergognarmi nel chiedere quanto mi spetta. Normalmente mi capitano dialoghi su per giù così. Prendo coraggio, studio a memoria la frasetta educata da dire con sorriso plastico e sguardo convincente e quando è ora di partire mi viene l'occhio vitreo, la voce tremula e le mani sudaticce: "Questo tipo di prestazione che vi offro potrebbe essere eventualmente, un domani, nel 2035, durante la prossima eclissi totale di sole, sempre se non vi chiedo troppo, non-vorrei-disturbare, siete già così carini a darmi tutto sto malloppo di roba da scrivere, ma poi tanto ho il Q8 sotto casa e praticamente la benzina me la regala in fondo, quindi posso pure andare a fare un'intervista al Triangolo delle Bermuda (che tra parentesi è l'ultimo indumento che mi è rimasto), eh niente...che vi volevo chiedere? Nulla, ci mancherebbe altro! Anzi, grazie che abbiate pensato proprio a me! Mi metto al pc e scrivo il pezzo. Ah, deve essere pronto tra un quarto d'ora? Ma certo, e che problema c'è!?". Già, che problema c'è?

mercoledì 12 marzo 2014

Nonne alla riscossa.

Le donne vivono di più. C’è niente da fare. L’ho proprio capito oggi. Senza leggere sondaggi o indagini demografiche. L’ho capito perché Nonna Terry oggi fa 101 anni e non credo abbia intenzione di tirare le cuoia tanto presto. In più stamattina ho accompagnato mio padre a una visita oculistica all’ospedale di Avigliana e l’età media sfiorava i 97 anni, con una massiccia presenza femminile. La sala d’aspetto sembrava un carnaio, come quando all’Università regalavano la tessera musei e c’erano in fila centinaia di studenti, la maggior parte dei quali, era in coda per omologazione, chissenefregava del museo egizio. E normalmente in questo marasma di persone con in mano il numerino come dal salumiere, c’è sempre il saggio di turno. Il pensionato piemontese che ha trascorso più ore alla bocciofila che in Fiat, pur avendoci lavorato una vita. Mediamente occhialuto, capello bianco e caplin con visiera, marcato negozio d’agraria o Fidas. Cintura nera di detti popolari e frasi fatte, parla una sola lingua indifferentemente con autoctoni, siciliani, svizzeri o rumeni: il piemontese. Leggasi con la O bella larga, quasi fosse una A, e la E un po’ strascicata. Vero che rende meglio l’idea? Ecco, lui a un certo punto, stamattina dice (io lo scrivo in italiano, mi perdonerete spero, ma se potete, pensatelo in dialetto): “E’ pieno di centenari. Al tg Piemonte la Milena Boccadoro ha fatto vedere un servizio su una fumna di 100 e passa. Perché sono poi tutte donne quelle che campano a lungo neh. A noi basta un niente e andiamo al Creatore; quelle lì invece tirano avanti come dei caterpillar. E’ pieno di vedove per lì in giro. Noi se rimaniamo da soli non ce la caviamo mica. Le fumne invece son già bituate a fare le cose per conto loro”.  Bon. Femmine 1- Maschi 0. Adesso vado da Nonna a festeggiare. Mangeremo come se non ci fosse un domani perché lei trita anche le pietre. Ultimamente è un po’ più rinco del solito. Ma io lo so che lo fa apposta, per far girare le scatole a mia mamma e a mia zia, che son gemelle, quindi una vera rottura al quadrato. Perché quando siamo sole io e lei, chiacchiera a proposito ed è in perfetta forma. Appena tornano loro, finge una catalessi temporanea e risponde solo a monosillabi. Ne sono sicura. Nonna la notte si veste da wonder woman, si cala giù in strada con le lenzuola del letto ortopedico e scorrazza per la città sconfiggendo il male. La sua missione sulla terra non si è ancora conclusa. C’è ancora tanto da fare prima di entrare nell’albo d’oro dei miei personalissimi supereroi!

mercoledì 5 marzo 2014

Oggi no.

Avevo in mente altro. Però oggi non sono in vena. Capita. Capita soprattutto quando per l’ennesima volta vieni rimbalzato. Quando ancora una volta ti dicono: “profilo eccellente ma ci dispiace davvero tanto, abbiamo scelto un altro candidato”. E a me? A me non dispiace? Che me ne faccio dei “avremmo proprio voluto prenderti ma…”; a cosa servono i “in futuro vorremmo comunque collaborare”. A me il lavoro serve adesso. Ora. Se no come fa ad esserci un futuro? A vendere parole si fa la fame. Questo l’ho capito. Ma cosa ne posso, se è l’unica cosa che so fare? Forse l’unica che mi piaccia, in tutte le sue forme possibili. Ho inviato 172 curriculum negli ultimi mesi. A tutte le radio, i giornali e le agenzie di comunicazione nel raggio di 50 km. Valle, col suo mortorio, compresa. Mi sono candidata per fare la commessa da Decathlon, da Pimkie, da Zara e tutte le altre marche che vi vengono in mente. Ditemi una grande azienda, una qualsiasi, e l’ho mandato pure lì. Ho risposto ad annunci di bar e pizzerie. Ma per fare la commessa o la cameriera, devi aver maturato almeno due anni di esperienza nel settore. E servire al pranzo degli Alpini o vendere biglietti al Frais non accresce il portfolio nel settore. Ho fatto una scelta coraggiosa; per qualcuno anche incosciente; a un certo momento ho lasciato una strada più o meno sicura, mi sono guardata in faccia e ho creduto che la passione per un mestiere, quello di scrivere e parlare, fosse ciò su cui dovevo puntare. E diciamocelo, quello in cui sono anche brava. Poi vedendo come buttava ho abbassato il tiro. Mi rimangono ancora i call center e le agenzie che ti mandano per strada a vendere fuffa alla gente. D’altronde quando cerchi un’offerta di lavoro e metti come voce chiave “comunicazione” sono queste due le principali opportunità che ti escon fuori. Che caratteristiche devi avere per lavorare in radio, per fare la giornalista o la speaker? La formazione. Ce l’ho. Non è mai abbastanza, chiaro. Ma c’è. Il talento. Forse sì, ho pure quello. E poi? Poi bisogna essere giovani ma con esperienza, vecchi ma non pretenziosi. Poi magari devi conoscere l’amico del cugino del direttore. Poi arrivare al posto giusto, nel momento giusto. Poi Giove deve essere in congiuntura astrale con Marte, Venere e Plutone. Ah e poi, possibilmente, dovresti lavorare gratis. Ma come i 12 anni precedenti, dacché ho cominciato? Esatto, al massimo un rimborso spese. Uh, caspita grazie! Grazie davvero. Mi dico che ho sbagliato tutto. Dovevo fare il medico o l’avvocato o l’ingegnere. Peccato mi faccia schifo. Potevo nascere in una famiglia danarosa e vivere di rendita. Ma grazie a Dio non è successo. Mi ripeto come un mantra che piuttosto che essere figli-di-papà è meglio essere poveri. Però. Però oggi si è chiusa un’altra porta. E per l’ennesima volta non so che cosa ho che non vada. Del mal comune mezzo gaudio, sinceramente, me ne fotto. Molto di più invece, mi pesa dovermi far pagare il dentista dai miei o farmi regalare le gomme da neve da mio fratello. Delle altre rinunce non mi interessa: si può mangiare solo verdura senza pagare a prezzo d’oro il filetto; di vestiti, anche se passati di moda, ne ho pieno l’armadio. Le vacanze non è obbligatorio farle. Con gli amici puoi uscire anche senza andare in pizzeria. Però. Però è l’autostima sotto le scarpe che brucia. E’ il “non ti scoraggiare che prima o poi qualcosa arriverà” che sa di presa per i fondelli. E’ chi ti chiede cosa fai nella vita che ogni volta è come se ti rifilasse uno schiaffo in piena faccia. E’ il momento di grave crisi economica che però non è uniformemente spartito tra tutti. E’ il bonifico per l’affitto che ogni mese ti comunica che tra un po’ non lo potrai più pagare. E’ il pietismo. Oggi è così. Non c’è niente da ridere. Perché non sono più giù dal tram. Ci sono finita sotto. 

mercoledì 26 febbraio 2014

Il malato immaginato.

Ieri sera ho sbattuto inavvertitamente due dita del piede contro la gamba del letto. Ecco. Non dico altro. Perché prima o poi questa sciagura infausta è capitata a tutti. E sapete cosa intendo se parlo di un dolore atroce che dalla pianta del piede ti attanaglia le gambe poi la pancia con un morso tremendo e ancora su, su fino a rimbombarti nel cervello. Pensate, io che non ho propriamente un linguaggio edulcorato da educanda, non sono neanche riuscita a imprecare. Però ho pianto. Ho pianto e riso insieme. Vi è mai successo che questi episodi vi provochino anche delle risate inconsulte? Tant’è che, giustamente, chi ti sta intorno pensa che tu stia facendo solo cine. Bene. Questo è solo un pretesto per riflettere sul modo che ognuno di noi ha di reagire al dolore fisico presunto o reale. Ci sono tre categorie di persone: gli ipocondriaci, gli affannati e i negligenti. Io faccio parte dell’ultimo gruppo: infatti tutt’ora zoppico come se fossi reduce dal Vietnam. Ma mi crogiolo nel pensiero che tanto prima o poi passerà. Un affannato avrebbe consultato subito qualche forum sul web, poi si sarebbe messo il ghiaccio e la pomata, avrebbe fatto gli impacchi con la malva (avete mai notato che la malva va bene un po’ per tutto? Hai i calli? Applica della malva. Hai la stipsi? Fatti una tisana con la malva) e se proprio non fosse cessato il dolore avrebbe consultato il solito medico di fiducia, col quale ha instaurato un rapporto così intenso che ormai la diagnosi gliela fa per telefono senza neanche ascoltare dove, sta volta, si senta male. L’ipocondriaco no. L’ipocondriaco sarebbe direttamente andato al pronto per farsi una lastra, convintamente sicuro di essersi procurato una frattura. Delle più gravi, per di più, e irreversibili, causa dell’alluce valgo e di numerose altre complicazioni e patologie che la medicina non ha ancora scoperto. Beh. Come vedete, nessuna delle tre categorie è impeccabile. Ma alcune fanno più sorridere di altre. Ho amiche carissime che hanno già provato tutti i tè: verde, nero, tè bianco, tè bancha. Vanno a scovare il negozietto che gli garantisce la purezza maggiore del prodotto e poi confrontano –sempre sui forum di internet- proprietà e benefici. Pure io mi sono fatta convincere dai miracoli curativi di questa tipologia di bevanda e l’ho comprato. Dovevo bollirlo, filtrarlo, metterlo nel thermos, senza zucchero e berne almeno 1 litro al giorno. Al terzo, mi sono rotta e ora il tè miracoloso lo uso al mattino per pucciarci i biscotti. Gli affannati hanno un elenco lunghissimo di cibi che contengono sostanze presumibilmente cancerogene. Se lo sono fatto dettare in spiaggia dalla vicina di ombrellone che vanta un master in tuttologia non indifferente. Hanno l’amuchina nella borsetta e si lavano le mani 27 volte al giorno. Se però tu, negligente, stai male, sono così affannati, ma di cuore, che si occupano di te. Ti consigliano farmaci e rimedi, cure alternative o palliative. E, mediamente, vista la loro esperienza, ci beccano. Così ti evitano un giro inutile dal medico della mutua. Poi ci sono gli ipocondriaci. Se inavvertitamente fai uno sternuto accanto a loro, ti chiedono se hai l’aviaria. Si infilano la mascherina sulla bocca e ti giurano che se dovessero ammalarsi tu sarai considerato il loro untore. Se hai un amico ipocondriaco non azzardarti mai a dirgli una frase tipo: “sei pallido oggi”. No. Comunicargli questa vostra banalissima osservazione potrebbe metterlo in crisi totale. Comincerebbe a sentirsi tutti i sintomi possibili e immaginabili che in breve tempo potrebbero portarlo al Creatore. Ripeto: fatevi gli affari vostri e ascoltate con biblica pazienza i loro lamenti. Gli ipocondriaci sono mediamente sani come dei pesci ma hanno tutte le malattie del mondo. Il loro non sarà mai un semplice raffreddore, no: loro hanno come minimo la sars. L’ipocondriaco non ha mal di pancia: ha un principio di peritonite acuta. Non ha due linee di febbre: ha la malaria. Non ha mal di gola ma forse le tonsille da operare. Conosce tutti i pronto soccorso della zona, avendoli frequentati nelle più svariate ore del giorno e della notte. Ha una laurea honoris causa in patologia ed è testimonial del prontuario farmaceutico nazionale. C’è poi una sottocategoria di ipocondriaco, che è diabolica: l’ipocondriaco fiero e consenziente. Quello che ha voglia di esserlo. Avevo delle colleghe che ad assistere ai loro discorsi sembrava che vivessero in un lebbrosario. Magari attaccava il bottone una che in modo molto angelico comunicava che il figlio aveva un lieve principio di influenza intestinale. Bon. Quello era l’inizio della fine. Dovevi metterti comodo e assistere al duello. Si riunivano come calamitate tutte le colleghe dotate di prole e partiva la sfida a chi aveva dovuto gestire il malanno più grave e complesso. Ne uscivano fuori ritratti di bambini cagionevoli ma bionici, per aver superato tutte le peggio disfunzioni esistenti. E voi, ve lo chiedo saltellando su un piede, che malati siete?

mercoledì 19 febbraio 2014

Diversamente giovani.

Ce li avete presenti quei signori di una certa che si avviano a diventare anziani? Quelli che hanno già passato il fiore dei 30 e la maturità pimpante dei 40; hanno già fatto il giro della boa dei 50 e si apprestano a rinnovare la patente sempre più frequentemente e ad andare dall'urologo almeno una volta ogni sei mesi. Ecco, di quei signori lì voglio parlare io. Quelli che a un certo punto, quando camminano per il paese, stanno leggermente curvi e ciondolano avanti e indietro le braccia lungo il corpo. E’ una cosa imprescindibile: quando hai 25 anni non la fai, ma a 72 sì. E’ un automatismo. Poi, se vanno in bicicletta, di solito usano dei reperti della Prima e stanno con le gambe un po’ larghe, forse per aiutare le giunture delle ginocchia a non partire definitivamente. Ne avrete visti; alcuni pedalano trasportando l’impossibile: scale, latte (non quello munto, sto parlando delle tole), carriole, fascine. Roba da arresto immediato per violazione della 626. Molto spesso hanno pantaloni di velluto o di fustagno un po’ abbondanti e camicie a quadri scozzesi. Sono gli ultimi reperti viventi di ominidi dotati di pensione, presa in fase non ancora del tutto geriatrica. Così, per sfuggire alle grinfie delle mogli, che, mediamente, sono delle rompipalle di dimensioni colossali, si trovano impegni e occupazioni di vario tipo: diventano falegnami, boscaioli, intagliatori, fresatori, elettricisti, coristi, manutentori, volontari, Alpini, pittori, colf addetti alle commissioni, piloti professionisti di passeggini, carrozzine o trattori, indifferentemente, trascinatori di tricicli, autisti e portalettere. Ecco, a tal proposito, apriamo anche una parentesi sul modo di guidare che questi signori hanno assunto col passare del tempo. La vista si è abbassata, i riflessi non sono più pronti come quelli di una volta ma loro guidano come se non ci fosse un domani. Avete mai notato? Non sono ancora caduti nel baratro senza ritorno del nonu che guida in centro strada e tiene la prima per almeno 200 metri, no. Loro sono in un limbo di vitalità, in cui credono di avere l’esperienza giusta per potersi permettere qualsiasi tecnica di guida. Vanno agli 80 nelle strade a curve di montagna ma ai 40 in statale. Azzardano sorpassi con visibilità zero e si immettono negli incroci con la leggiadria di un paso doble. E tu, al lato del passeggero, ti appendi alla maniglia interna snocciolando tutti i rosari che non hai detto in vita tua. Torniamo a noi. Anzi, a loro. Di solito sono una specie mite e mansueta, stile che hanno affinato per evitare ulteriori affettamenti bilama delle consorti di cui sopra. Si muovono sicuri e gioviali per il paese. Ne conoscono la storia, ne hanno visto l’evoluzione, vivendo in modo consapevole sia la Guerra, sia il Boom, sia le Rivoluzioni, sia il Declino totale. Quello che, invece, è stato praticamente donato a noi con pacco a forma di missile, sopraggiunto da dietro. Ma dicevamo. Loro conoscono tutti, salutano tutti e si fermano volentieri per una battuta. Perché sono anche simpatici. L’unico inconveniente è che a volte capita che le funzioni digerenti interne non siano più così efficaci e quindi il loro alito non invita propriamente a un incontro appassionato alla Humphrey Bogart e Ingrid Bergman. Però loro in fondo, in fondo lo sanno. Ed essendo buoni, come detto, vanno sempre in giro con le Monk’s nella tasca delle braje e sovente le offrono. Solo che le caramelle del monaco balsamiche, oltre a donare sollievo contro tosse e mal di gola e a ridare al fiato un aroma più fresca, ti brasano completamente  l’epiglottide e stimolano le ghiandole alla produzione di saliva sufficiente per spegnere l’incendio. Quindi, onde evitare di vivere due minuti di paura, declini l’invito, saluti e auguri buona giornata, scappando a gambe levate. Ognuno di noi ha un nonno o un papà così. Dite la verità. E allora il compitino per oggi è questo, se potete. Avvicinateli. Odorate la loro pelle coriacea che sa di colonia. E dategli un bacino sulla guancia e sulla barba appena fatta ma spessa. Si stupiranno e si commuoveranno. Perché quei signori lì non sono abituati alle smancerie. Ma se le meritano. Ogni tanto, se le meritano.




mercoledì 12 febbraio 2014

Fiato alle trombe.

Avvertenze. Questo post non è adatto a schizofrenici presunti, strombettatori compulsivi, aizzatori di folle con fare tamarro. No. Voi no. Hic et nunc, ci vogliamo prendere una pausa, lontano dal caos, dai clacson e dalla gente agitata. Lo spunto mi viene dalle immagini che sui giornali e sul web descrivevano lo sciopero che il 5 febbraio ha mandato in tilt la metropolitana londinese. 




Guardateli. Sono in fila per due. Ordinati. Mani in tasca. Mi piace perché lì in mezzo ci saranno il manager e la badante, il broker e la colf. Ma nessuno prevarica sugli altri. Se sono lì, hanno un motivo valido per esserci e per aver bisogno di prendere la metro, allo stesso modo di tutti gli altri. Hanno lo sguardo paziente di chi sa che se è stato indetto uno sciopero, non è che si possa far molto se non aspettare. Se Romano Prodi decidesse fantasmagoricamente di ricandidarsi, io gli suggerirei quest’immagine per la sua campagna elettorale. Mi vien quasi da pensare a questo post a bassa voce. Non che voglia tessere le lodi dei londinesi, ci mancherebbe. Vorrei però appendere per le orecchie allo stendibiancheria tutte queste categorie di persone che vado elencando: quelli che non è ancora scattato il verde e già suonano. Quelli che tagliano le file, in posta come ai musei vaticani e quando glielo fai notare o cadono dal pero o si scocciano, pure! I politici che nelle conferenze di partito urlano nel microfono un po’ per fomentare l’applauso, un po’ per dar credito alle nullità che stanno dicendo. Le mamme che per sgridare il bambino che piange a squarciagola in un luogo pubblico, solitamente urlano frasi prese dal metodo teorico della signorina Rottenmeier per dimostrare al mondo la loro autorevolezza. Al termine di ciò, solitamente, il bambino sbraita più forte di prima. Quelli che quando c’è coda in tangenziale passano nella corsia di emergenza. Quelli che mentre tu parli e magari sei pure un po’ contrito nel tuo argomentare, ti interrompono con un consiglio non richiesto che, quasi sempre, prende spunto dalla loro vita che è, quasi sempre, un modello da imitare. Quelli che in sala d’aspetto dal medico raccontano tutta la loro anamnesi famigliare, dalla varicella del nipote di terzo grado, al dettaglio della loro ultima rettoscopia.  Quelli che in attesa ai botteghini dello stadio vedono che di fronte a te ci sono altre seimila persone ma decidono comunque di spingere. Quelli che sui mezzi pubblici ti fissano. Quelli che tengono la suoneria con la Cavalcata delle Valchirie che sfonda il muro del suono. I logorroici; gli inservienti, consulenti e negozianti che trattano male i clienti. Quelli che hanno la macchina ribassata, con la marmitta appositamente sfondata e Gigi D’Alessio a palla. I vecchi che ce l’hanno sempre con i giovani, i giovani che si lamentano dei vecchi. I cani dei vicini. Quelli del piano di sopra, la serranda del negozio di sotto. E infine quelli che dai blog scrivono e pontificano su tutto e su tutti. Ops...