Ci sono espressioni che non
sopporto. Mi dà fastidio il “condivido” detto da chi digrignando i denti in
realtà la pensa in modo diametralmente opposto al tuo. E quel “condivido” è
solo un modo elegante per cospargere la supposta col miele.
Mi danno i nervi le
ragazzette che iniziano monologhi dicendo “con il mio ex e bla bla bla”. Hai 18 anni mal contati e la spocchia da cinquantenne radical chic: ascolta me, se
continui di sto passo tra non poco ne avrai così tanti di “ex” che memorizzando
il tuo nome sul cellulare alla voce “ebola”, ti faranno passare la voglia di
tirartela per essere stata piantata.
Non sopporto la parola “condoglianze”
fondamentalmente perché non vuol dire nulla. E’ un escamotage senza sentimento
per riempire un silenzio quando non si sa cosa dire. Ecco, a volte, il silenzio,
sarebbe proprio l’unica cosa da dire.
Mi danno l’orticaria quelli che usano
perifrasi e avverbi per arricchire concetti vuoti: “invero, sebbene, malgrado,
cosicché”. A volte cado anch’io in questa trappola e allora cerco di ripetermi
come un mantra “parla come mangi il pollo, parla come azzanni la pizza, parla
come pucci i biscotti nel tè”. Non sembra, ma poi riesco a farmi capire meglio.
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