AnnaGiùDalTram

lunedì 19 dicembre 2016

Di comodità virtù.


Quest’anno mi sono dedicata ai concerti. Perché nella vita bisogna darsi degli obiettivi alti e per il 2016 ho deciso di strafare. Così sono giunta ad alcune considerazioni che mi pare doveroso condividere. Ah, avevo già detto che odio il verbo condividere in un altro post più in basso, caso mai moriste dall’irrefrenabile voglia di saperlo. Dicevamo. Prima di tutto: quelli alti, dietro. Non mi interessa che siate arrivati al pomeriggio, piantando le tende two seconds fuori dai palazzetti, mangiandovi panini con maionese e frittata per ammazzare l’attesa. Non mi interessa che non sia colpa vostra se Madre Natura, Dio, Buddha, Allah o Krishna vi abbiano dato il dono di osservare il mondo dall’alto. Anche se prendete la pioggia per primi, non mi fate pena. Ai concerti districarsi tra voi pertiche è faticoso come scendere col bob su un campo di margherite. Quindi, per cortesia, abbiate pietà: al fondo, o al massimo di lato. Lasciate pure davanti la vostra fidanzata urlatrice alta 1.20, tanto lei avrà occhi solo per il suo idolo sul palco, neanche si ricorderà che avete preso ferie rischiando il licenziamento per accompagnarla 13 ore prima, che quei biglietti che le avete regalato vi sono costati la vendita delle cornee e che voi ascoltate di nascosto metalcore e non ste nenie scritte da depressi per gente depressa che gode nel deprimersi vicendevolmente.  Poi, seconda categoria. Ce n’è anche per le fanciulle. Se siete ricce, fatemi il sacrosanto favore di legarvi i capelli. Sembra di avere davanti Telespalla Bob. Comprenderete la difficoltà di visione che arrecate al prossimo no? Non dico di buttare 20 euro per farvi la piega liscia che tanto poi sembrate delle foche monache. Però che diamine, due forcine basterebbero per domare ste criniere. Terza categoria, tra le più moleste. Quelli che zompettano come dei pungiball gonfiabili a cui è appena stato sferrato un pugno alla Jackie Chan. Sono le persone che non riescono a ritagliarsi come tutti uno spazio vitale entro il quale stare e per parlare col vicino -che basterebbe solo ruotare il bacino senza altri sforzi- si appoggiano sol vostro coccige e vi prendono a spallate come in una finale di rugby. Allora. State calmi. Già siamo in 6000 in un locale che a malapena ne contiene 300. Riuscite a stare fermi o quanto meno a non muovervi come se foste tarantolati? Io mediamente sti soggetti, al terzo spintone li fisso con aria di sfida. Poi mi rendo conto che la loro faccia denota la stessa intelligenza di Renzo Bossi alias “Il trota” il mattino appena sveglio dopo una colossale sbornia. E quindi mi arrendo. Prendo e mi sposto. Di solito ho la stramaledetta fortuna di infilarmi in mezzo a un gruppo di ragazzette un po' troppo entusiaste per i miei canoni. Quelle che urlano, ridono in modo convulso, si abbracciano, si fanno i selfie mentre sotto passano pezzi del calibro della Canzone di Piero. Che dici, vabbè. Già ci sono io coi miei problemi e le mie storie tristi. Io infatti ai concerti solitamente svengo. Sarà il caldo, la pressione sotto le scarpe, la confusione. Tipo l’anno scorso sono capitombolata due volte nel giro di mezz’ora nel bel mezzo dello stadio al concerto di Vasco. Con tanto di riproponimento della piadina del porcaro appena mangiata. Scusate la franchezza ma è per rendere meglio l’idea. I volontari della Croce Rossa quando arrivavo nella tenda per il primo soccorso mi salutavano con un cinque. “Hai fumato? Che hai bevuto? Hai preso le pastigliette, eh?”. Ma no! Ho solo la forza fisica di un paramecio con la sars. Mi prendo la mia dose di acqua e zucchero e poi sono a posto. Anzi, i miei amici crociati mi davano il mio kit e poi mi chiedevano se cortesemente potevo sloggiare per lasciare il lettino a chi era in coda in coma etilico e aveva bisogno di una flebo per tornare nel mondo dei vivi. L’ultima volta al concerto di Bianco, la mia amica Elena è andata al bancone del bar per sapere se avevano dell’acqua. Ha rimediato un bicchiere da cocktail con un po' di zucchero di canna per il mojito. Che comunque mi ha aggiustato la serata. Da allora mi faccio fare una lavanda gastrica prima di recarmi a qualsiasi botteghino e prendo il Polase, così non rischio figuracce. Basterebbe che mettessero due sedie. Uh come mi piacerebbe ascoltare un concerto rock seduta comodamente su una poltroncina, come me lo godrei. Poi se c’è da fare due salti sono la prima ad animarsi. Però questo sì che sarebbe un referendum propositivo al quale aderirei. Forse lo firmeremmo solo io e altre due anziane della Casa di Riposo di Almese. Ma come saremmo felici. Denota vecchiaia tutta sta pappardella? Macchè, è solo un modo per fare cose da giovani assecondando tutta la mia profetica pigrizia. Perché alle tisanerie, ai concerti da camera e ai seminari pomeridiani sulla poetica di aristotele no, non voglio arrendermi. Non ancora.

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