AnnaGiùDalTram

giovedì 11 febbraio 2016

"Il valletto imbellettato". Di Conti, Garko, Raffaele, Ghenea. Dirige l'orchestra il maestro Beppe Vessicchio. Canta: L'Italia.



A me il clima che aleggia intorno al Festival piace. A San Remo sono affezionata perché da piccola coi miei andavamo sempre in vacanza lì. Passavo davanti al teatro Ariston e pensavo: “Ma che, qui dentro lo fanno?”. Quindi, se posso, lo seguo. Mi piacciono sti avvenimenti nazionalpopolari, pieni di retorica, di trash spiccio e di qualche canzone che poi fa il suo giusto corso e sfonda nelle radio. Mi piacciono i Jalisse, i fiori, quello dal pubblico che urla qualcosa di incomprensibile –un fenomeno del genere c’è sempre, da 66 anni- le scale, la sala stampa, il balconcino con le anticipazioni per il Tg1 con Vincenzo Mollica che riesce a starci a stento, Beppe Vessicchio, strass e paillettes. Poi le vallette. E da quest’anno i valletti. E permettetemi di glissare su canzoni e nastrini arcobaleno perché tanto ne hanno parlato già tutti. Punto primo: le vallette a San Remo da che mondo e mondo, devono essere fighe. E su questo frangente negli ultimi anni stiamo facendo un po’ acqua da tutte le parti. Ma pazienza: puntiamo sulla bravura. Giusto! Complimenti Festival, un po’ di meritocrazia: sale sul palco dell’Ariston solo chi è bravo. Sì. Ecco, appunto. Ora dovete spiegarmi perché vallette e presentatori che siano, appena calcano l’Ariston si lobotomizzano. Per presentare un cantante (mediamente tre righe di parlato) vanno in botta d’ansia. Leggono il gobbo ma quasi sempre non lo vedono bene e quindi strabuzzano gli occhi come all’esame della patente il mio vicino di casa di 83 anni. Saltano righe e parole quindi la presentazione del cantante suona più o meno come se si leggesse a voce alta il tabellone dello Scarabeo a partita finita. Ma cribbio: siete almeno in 4 su quel palco; i cantanti in gara non sono più di 10/15, non riuscite a dividervi il lavoro e studiarvi a memoria quelle maledette tre righe di introduzione? Ma all’asilo non ci siete andati? Come facevate per la poesia della festa del papà? Pazienza, ce ne faremo una ragione: non è tutto oro quello che luccica. E soprattutto, non è tutto botulino quello che gonfia. A meno che. Gabriel Garko. Già, lui. Il valletto. Orde di homo sapiens che puntavano all’evoluzione della specie e invece si vedono rappresentati dal “valletto”. Sì perché le fanciulle, le tardone e le sciure, appena Gabriel è salito sul palco lo puntavano con i binocoli per il birdwatching. La domanda è una sola: perché? Perché è un sex symbol? Sì, può darsi: è un sex symbol per confusi, senz’altro. Perchè si trova esattamente nel limbo del dubbio: si imbelletta come una femmina ma tenta la risata baritonale da bello e dannato. Si trucca, si gonfia, si strizza, si unge qualsiasi muscolo facciale ma poi è alto 1.90 e fa la pipì da in piedi. Gabriel, ascolta. Intanto diamo il nome giusto alle cose. Dario, Dario Oliviero, siamo quasi cognonimi. Sei di Settimo Torinese. Quando parli pizzichi la lingua tra i denti bianchissimi per arrapare le ovaie in sala all’Ariston ma così facendo a noi sabaudi riporti alla memoria un solo paragone: Gianfranco Bianco, memorabile conduttore del Tg3 Piemonte anche definito dai valsusini duri e puri “linguetta porca”. Non noto per essere un marcantonio da cubo, ecco. DarioOliviero-GabrielGarko: credo ti sia rimasto incastonato un ombrello a manico tra la chiappa destra e quella sinistra. Occhio che quella roba lì fa anche effetto mantice. Sta a vedere che è per quello che ti si sono gonfiati gli zigomi?! Però grazie. Grazie per gli spunti. Altrimenti noi giornalisti o presunti tali, in che cosa potremmo dilettarci a spettegolare?

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