A me il clima che aleggia intorno
al Festival piace. A San Remo sono affezionata perché da piccola coi miei
andavamo sempre in vacanza lì. Passavo davanti al teatro Ariston e pensavo: “Ma
che, qui dentro lo fanno?”. Quindi, se posso, lo seguo. Mi piacciono sti
avvenimenti nazionalpopolari, pieni di retorica, di trash spiccio e di qualche
canzone che poi fa il suo giusto corso e sfonda nelle radio. Mi piacciono i
Jalisse, i fiori, quello dal pubblico che urla qualcosa di incomprensibile –un
fenomeno del genere c’è sempre, da 66 anni- le scale, la sala stampa, il
balconcino con le anticipazioni per il Tg1 con Vincenzo Mollica che riesce a
starci a stento, Beppe Vessicchio, strass e paillettes. Poi le vallette. E da
quest’anno i valletti. E permettetemi di glissare su canzoni e nastrini
arcobaleno perché tanto ne hanno parlato già tutti. Punto primo: le vallette a
San Remo da che mondo e mondo, devono essere fighe. E su questo frangente negli
ultimi anni stiamo facendo un po’ acqua da tutte le parti. Ma pazienza:
puntiamo sulla bravura. Giusto! Complimenti Festival, un po’ di meritocrazia:
sale sul palco dell’Ariston solo chi è bravo. Sì. Ecco, appunto. Ora dovete
spiegarmi perché vallette e presentatori che siano, appena calcano l’Ariston si
lobotomizzano. Per presentare un cantante (mediamente tre righe di parlato)
vanno in botta d’ansia. Leggono il gobbo ma quasi sempre non lo vedono bene e
quindi strabuzzano gli occhi come all’esame della patente il mio vicino di casa
di 83 anni. Saltano righe e parole quindi la presentazione del cantante suona
più o meno come se si leggesse a voce alta il tabellone dello Scarabeo a
partita finita. Ma cribbio: siete almeno in 4 su quel palco; i cantanti in gara
non sono più di 10/15, non riuscite a dividervi il lavoro e studiarvi a memoria
quelle maledette tre righe di introduzione? Ma all’asilo non ci siete andati?
Come facevate per la poesia della festa del papà? Pazienza, ce ne faremo una
ragione: non è tutto oro quello che luccica. E soprattutto, non è tutto
botulino quello che gonfia. A meno che. Gabriel Garko. Già, lui. Il valletto. Orde
di homo sapiens che puntavano all’evoluzione della specie e invece si vedono
rappresentati dal “valletto”. Sì perché le fanciulle, le tardone e le sciure,
appena Gabriel è salito sul palco lo puntavano con i binocoli per il
birdwatching. La domanda è una sola: perché? Perché è un sex symbol? Sì, può
darsi: è un sex symbol per confusi, senz’altro. Perchè si trova esattamente nel
limbo del dubbio: si imbelletta come una femmina ma tenta la risata baritonale
da bello e dannato. Si trucca, si gonfia, si strizza, si unge qualsiasi muscolo
facciale ma poi è alto 1.90 e fa la pipì da in piedi. Gabriel, ascolta. Intanto
diamo il nome giusto alle cose. Dario, Dario Oliviero, siamo quasi cognonimi.
Sei di Settimo Torinese. Quando parli pizzichi la lingua tra i denti bianchissimi
per arrapare le ovaie in sala all’Ariston ma così facendo a noi sabaudi
riporti alla memoria un solo paragone: Gianfranco Bianco, memorabile conduttore
del Tg3 Piemonte anche definito dai valsusini duri e puri “linguetta porca”. Non noto
per essere un marcantonio da cubo, ecco. DarioOliviero-GabrielGarko: credo ti
sia rimasto incastonato un ombrello a manico tra la chiappa destra e quella
sinistra. Occhio che quella roba lì fa anche effetto mantice. Sta a vedere che
è per quello che ti si sono gonfiati gli zigomi?! Però grazie. Grazie per gli spunti. Altrimenti noi giornalisti o presunti tali, in che cosa potremmo dilettarci a spettegolare?
numero 1 mia sorella
RispondiEliminaAhahah!!
RispondiEliminaBrava Anna bell'articolo, complimenti !!!
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